tezoni acquatici a le canne

CAXA DE L’ARSENAL

Sul lato nord-est dell'Arsenale, lambiti dalle acque del canal de porta nova e addossati perpendicolarmente all'antico muro di cinta che un tempo era esternamente bagnato dal rio de la guera (interrato dopo il 1866 e che divideva l'Arsenale dall'isola de le Verzene), si affacciano sulla darsena dell'Arsenal novissimo i due monumentali tezoni aquatici a le canne, attualmente erroneamente indicati come tezoni a le gagiandre, i quali invece sono quelli schierati a poche decine di metri verso sud.

Come tutti gli altri tezoni aquatici costruiti in Arsenale, anche questi furono concepiti per l'ormeggio degli scafi delle galee che dopo il varo venivano qui completate. Successivamente, cambiati i metodi di produzione e la stazza dei vascelli, qui trovarono ricovero imbarcazioni di basso bordo e forse anche un deposito galleggiante di canne di palude (indispensabili poichè solo con il fuoco da esse sprigionato è possibile piegare l’asse di legno e farle mantenere tale deformazione nel tempo, tecnica che venne usata fino a ben oltre la metà del XX secolo negli squeri cittadini).

Assieme ai sei tezoni de le galeazze, la cui realizzazione è più tarda, i due tezoni aquatici a le canne rappresentano la tipologia più grande di tettoia acquea esistente in Arsenale, venendo innalzati fra il 1568 e il 1573. Le misure sono di 56 metri di lunghezza e di 23,40 metri di larghezza ciascuno. Il divisorio centrale ed i due setti esterni sono identici: formati da due quadrifore, con piloni in conci di pietra, comprese fra tre intercolumni larghi 4,70 m. che hanno funzioni di irrigidimento; misura 4,40 metri l'interasse fra colonna e colonna. Contrariamente a quanto appare dal loro poderoso spessore, sia le colonne che i pilastri sono realizzati al loro interno con la tecnica della muratura a sacco, di uso tradizionale a Venezia per la sua sostanziale “leggerezza”, costituito com’è da un miscuglio di pezzame di pietra e di mattoni immaltati.

Forse l'inusuale ampiezza dello spazio coperto o la presenza dei sovradimensionati pilastri circolari (abbelliti dal tradizionale capitello schiacciato a foglie d'acqua), elementi che si riconoscono nella grande architettura, questi due grandiosi edifici sono generalmente considerati il probabile frutto dell’ingegno del Sansovino, anche se essi furono conclusi dopo la morte del grande architetto, avvenuta nel 1570.

La preponderante monumentalità non costituisce comunque l’unica particolarità dei due tezoni aquatici a le canne: l’andamento non ortogonale dei tre setti murari rispetto al muro di fondo (l’orientamento risulta deformato di 15 gradi oltre l'angolo retto), unito alla scelta di uniformare le tettoie di copertura al tipo a quattro falde, di cui la quarta contro il muro di cinta, accantonando altre soluzioni più semplici, ha condotto ad una elaborazione progettuale tale per cui il problema del fuori-squadra è stato risolto così abilmente da essere trasformato in un elemento che viceversa qualifica l'edificio.

Iniziando dai tre setti murari, questi si articolano per modo che mentre le colonne e gli archi si proiettano sui tre sostegni secondo assi paralleli al muro, viceversa l'ultimo arco, che costituisce l'attacco dei setti al muro di fondo, lasciando libero il passaggio sulla fondamenta di servizio, si deforma rispetto alla medesima inclinazione. Se gli altri pilastri terminano con una semicolonna, il pilastro dell’ultimo arco è invece tagliato di sbieco, per poter seguire l'andamento del muro di cinta.

Allo stesso principio si orienta l'armatura delle capriate di legno, stupefacente per la complessità della struttura. Il problema della deformazione dei sostegni sarebbe assai meno rilevante se poi le coperture seguissero la legge dell'ortogonalità ai muri di appoggio. Invece no, seguendo l'andamento planimetrico complessivo, le capriate corrono sghembe rispetto ai sostegni e parallele al muro di cinta. Si noti ch questo andamento viene seguito anche dalla cornice di gronda e dai sottostanti barbacani (mensole) in pietra d’Istria, che sono piccoli, ravvicinati e sagomati solo sulla fronte.

Si noti inoltre che proprio a causa dell'orientamento non ortogonale, l'orditura delle capriate risulta essere un metro più lunga del necessario, soluzione che in termini statici non rappresenta un incremento del 4% (cioè da 25 a 26 metri) ma un incremento del 10% (da 252 al 262) in quanto le sollecitazioni di momento crescono col quadrato e non linearmente. Ciò determina che la luce libera raggiunta dalla struttura (pari a 23,54 metri lineari), non potrebbe essere ottenuta dalla singola capriata, che non sopporterebbe il proprio carico. Il segreto sta nella disposizione dei controventi orizzontali ed obliqui, che agiscono conferendo alla struttura un comportamento a piastra, ciò nonostante l’intoppo causato dal costante fuori squadra (73,5° e 106,5°) che porta i controventi diagonali ad incontrare i monaci con incidenze sghembe.

Monumentali nella pietra quanto paradossali nel legno, i tezoni aquatici a le canne costituiscono l’ulteriore prova della maestrìa costruttiva dei carpentieri dell'Arsenale, competenza che già era giunta a completa maturazione sin dalla metà del ‘400.


Caduta la Repubblica nel 1797, le successive trasformazioni che interessarono l’Arsenale nel periodo dell’occupazione francese ed austriaca non procurarono, fortunatamente, modifiche di significativo rilievo ai due tezoni.


L’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866 e la successiva approvazione del piano di riordino dell’Arsenale da parte della Regia Marina confermò l’uso dei tezoni aquatici a le canne come ricovero di imbarcazioni e naviglio minore da guerra. Va solo ricordato che nel corso della prima guerra mondiale uno dei tanti bombardamenti austriaci della città causò, fra altri gravissimi guasti, la distruzione della parte frontale, con la perdita della quarta falda che in seguito non venne mai più ricostruita.


Quando nel 1964 l’Arsenale cessò definitivamente ogni attività industriale, i due  vennero affidati alla Marina Militare che continuò ad utilizzarli per lo scopo per il quale furono costruite. Recentemente (2006) esse sono state cedute alla Biennale di Venezia che ha in progetto di utilizzarle come spazio espositivo.

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