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I segadori assieme ai remeri e agli alboranti, costituivano il gruppo di Arti che più stabilmente erano impiegati dentro l'Arsenale, con l'obbligo di presentarsi al lavoro ogni giorno. Essi svolgevano il loro lavoro all’interno del gran fabbricato de le sieghe che, in seguito alla demolizione, venne ricostruito nelle forme attuali dell’imponente edificio detto poi degli squadradori. I segadori lavoravano a cottimo, squadrando in tavolato i tronchi di rovere, faggio, acacia, abete, larice, essenze che servivano per la costruzione delle navi. Per l’operazione di taglio adoperavano una grande sega fissata al centro di un telaio. La tecnica consisteva nell'operare sul tronco posto su due alti cavalletti e gli uomini, sempre in coppia, uno sopra e l'altro sopra il pezzo da tagliare, applicavano all'arnese un movimento alternato, con la notevole abilità che si può facilmente supporre per mantenere lo spessore regolare. I segadori provenivano quasi esclusivamente dal Trentino ed erano eccezionalmente ammessi all'Arte anche se foresti, e senza dover pagare la consueta bona entrada, ciò al chiaro scopo di incentivare il più possibile la loro venuta a Venezia nel numero sufficiente a coprire le esigenze di un settore così importante. Nel corso del
'500, i lavoratori impiegati quotidianamente nello stabilimento, cioè nel
periodo di maggior espansione della produzione, erano circa duemila, con
punte anche di tremila uomini nei momenti critici. Marangoni da nave e calafai costituivano
circa l'80% del personale. Il capo operaio della maestranza, in veneziano il Proto dei segadori collaborava con tre Sottoproti: · Il proto dei sagomadori (tagliatori e "sagomadori") · Il proto dei fravi (fabbri delle officine e fonderie) · Il proto dei mureri (muratori) oltre naturalmente agli arsenalotti e ai bastasi (facchini). |
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