Repubblica Serenissima

Magistratura senatoria

Aperta

sovrintendenti a le decime del clero

(sovrintendenti alla riscossione delle tasse patrimoniali imposte al clero)

 

istituzione

competenze

dignità politica

bibliografia essenziale

 

Istituzione.

La tassa detta de la decima era un'imposta che, come ben dice il suo nome, permetteva all'Erario di riscuotere un decimo del valore dei beni posseduti; venendo applicata indistintamente a tutti i sudditi e distinguendosi in due categorie: la decima secolare e la decima ecclesiastica.

Per la riscossione delle decime secolari esisteva da tempo una apposita magistratura (vedi il Collegio dei XX Savi alle Decime di Rialto), mentre per la riscossione di quelle ecclesiastiche fin dall'anno 1462 il Senato era intervenuto ordinando ai Deputati alla Provvisione del Denaro di provvedere alla tassazione dei beni di proprietà del clero, escludendo inizialmente quelli assegnati ai monasteri, nonchè la loro registrazione in un apposito catasto.

A partire dal 1468, la tassa iniziò ad essere applicata anche nei confronti dei beni posseduti da tutti i monasteri, con l'imposizione per le comunità religiose di pagare la tassa della decima sui censi a questi pagati dalle casse pubbliche, in ragione di un'aliquota del 4% .

Nel corso della redecimazione (periodico aggiornamento del catasto che costituiva la base per l'applicazione dell'imposta) eseguita nel 1564, sorsero però talmente tante contestazioni in merito alle numerosissime pretese d'esenzione avanzate dai religiosi che, giunti alfine al 1586 (dopo gli usuali tentavi di accollare questo compito ad altre magistrature già esistenti) il Senato si convinse ad affidare tutto il contenzioso della materia ad un nuovo organo, ordinando quindi l'elezione di due senatori col titolo di Soprintendenti alle Decime del Clero, ai quali nella metà del secolo XVII se ne aggiunse un terzo, del tutto uguale per dignità e carica ai primi.

 


Competenze.

Riuniti in apposito collegio assieme al Nunzio Apostolico, i magistrati procedevano alla tassazione dei beni ecclesiastici, con facoltà loro concessa, sia singolarmente e sia riuniti, di ricorrere, in caso di disaccordo, alla superiore opinione del Pien Collegio od anche del Senato.

Alla tassazione delle decime erano soggette tutte le chiese, tutti i proventi, le amministrazioni, gli uffici, le proprietà, le rendite, le pensioni annue derivanti da usufrutto e tutta la gerarchia clericale entro i confini dello Stato; dalla tassazione erano invece esclusi quei beni compresi in particolari esenzioni ed immunità che erano state precedentemente accordate ed in seguito riconfermate.

Vale certamente ricordare che in una Europa, dove in qualunque Paese i beni di proprietà della Chiesa erano considerati non tassabili ed inalienabili, la legittimazione politica che la Repubblica offrì per giustificare l'imposta della decima anche sui beni del clero, fu che, come più volte il Senato ribadì al Pontefice, essendo lo Stato continuamente impegnato in gravose spese per la difesa dei confini dalle minacce straniere (specialmente turche) e vivendo all'interno degli stessi confini moltissimi ordini di preti, frati, suore, monache che quindi direttamente godevano della tutela e della sicurezza che così puntigliosamente la politica veneziana perseguivano, sembrava altrettanto giusto che tutti i sudditi, anche i componenti del clero, sostenessero la loro quota di spesa che la conservazione della pace e della tranquillità interna imponevano.

 


Dignità politica.

All'interno della struttura burocratica dello Stato, questo ufficio aveva dignità di Magistratura Senatoria (eleggibile cioè entro il numero dei soli senatori) ed il titolo di aperta.

 


 

Bibliografia essenziale.

BESTA "Il Senato veneziano" pag.161 e pag.165\170 

SANDI "Principi di storia..." P.III^, vol. II, pag.875 segg.

FERRO "Dizionario di diritto..." tomo 4, pag. 182

ROMANIN "Storia documentata di..." tomo VI, pag.305 - tomo VIII, pag.231

 

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