SESTIER DE

CASTELO

ciexa de San Zacaria

CONTRADA

S. PROVOLO

 

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Cenni storici:

stante la leggenda, fra le otto chiese che il vescovo San Magno sognò sarebbero state da lui stesso fondate in laguna quando, nel secolo VII, egli qui giunse fuggendo da Opitergium (l’odierna Oderzo) assediata e poi conquistata dai Longobardi, vi era anche la chiesa di San Zacaria che sorse sull’isoletta chiamata “Ombriola”.

Diversamente dalla visione mistica, le cronache indicano che l’intitolazione al santo sia stata suggerita dall'arrivo in Venezia di una importante reliquia di San Zaccaria e che l'iniziativa di dedicargli seduta stante una chiesa e un monastero fu concepita dai veneziani all’interno di una più ampia e geniale operazione politica. Mentre infatti il patriarca di Aquileia e quello di Grado si scontravano nel sinodo indetto a Mantova nell’827 per il riconoscimento della rispettiva supremazia pastorale, Venezia sceglieva di esibire direttamente il possesso del corpo di San Marco (arrivato a Venezia nell'828) assieme a quello di San Zaccaria, ovverossia il padre di San Giovanni Evangelista, precursore del Cristo. L’obiettivo fondamentale era quello di rivendicare la discendenza di Venezia da Costantinopoli e perciò la sua totale estraneità al Sacro Romano Impero. Entro questo solco si incanalarono i numerosi documenti apocrifi successivi, in particolare un antico diploma attribuisce la fondazione della chiesa di San Zacaria all'imperatore bizantino Leone V detto l'Armeno (813-820) il quale, inviando a Venezia le reliquie di San Zaccaria, ordinò espressamente al Dose Angelo Partecipazio e poi al Dose Giustiniano Partecipazio di realizzare chiesa e convento.

Comunque sia, si ritiene che il primitivo complesso religioso sia stato fondato nel corso dell'827, in seguito però la chiesa fu completamente ricostruita, in forme romaniche con tre navate e absidi semicircolari, dopo il violento incendio scoppiato nel 1105 che distrusse completamente gli edifici. Nel 1440 l’area absidale della chiesa romanica, corrispondente oggi alla cappella Sant'Atanasio (ex coro) e alla cappella San Tarasio (ex abside) sarebbe stata oggetto di intervento ad opera di Antonio Gambello con una ricostruzione in gotico fiorito. In realtà si ritiene che l'edificio sia stato oggetto di un rimaneggiamento assai più radicale, venendo ridotto ad una lunga e stretta navata, in coerenza con la tipologia costruttiva delle chiese realizzate dagli ordini mendicanti nel corso del secolo XIII.

La decisone di edificare un nuovo e più grandioso tempio fu presa dal capitolo delle monache Benedettine nel 1456, perciò a poco meno di vent'anni dalla conclusione del precedente intervento. Tale iniziativa fu forse assunta a causa del manifestarsi di improvvisi cedimenti, anche se però la vecchia chiesa è oggi ancora leggibile nelle sue strutture portanti. D’altro canto, fa certamente riflettere il fatto che nel 1461 il Senato deliberasse la partecipazione dello Stato ai lavori attraverso una cospicua sovvenzione pubblica, quasi che nella scelta di impostare una nuova e più ricca costruzione si dovesse racchiudere anche l'orgogliosa rivendicazione del primato religioso e politico della Repubblica Serenissima dopo che, nel 1453, Costantinopoli era definitivamente caduta in mano dei Turchi.

Comunque sia, l’intervento fu commissionato nuovamente al "proto maestro sora la fabrica" Antonio Gambello che nel 1458 impostò la costruzione della nuova chiesa che fu parzialmente sovrapposta alla preesistente, di cui infatti inglobò la navata sinistra.

La planimetria interna venne impostata nel pieno rispetto della tradizione del periodo gotico: tre navate divise in altrettante crociere, con la maggiore conclusa dall'abside poligonale circondata da un deambulatorio. Da ogni lato si aprono a raggiera quattro cappelle semicircolari, terminanti nel muro perimetrale.

Alla morte del "proto", avvenuta nel 1481, mancava la copertura delle cappelle, erano incomplete le tre navate (segnate solo dalle colonne, innalzate nel 1476) ed anche la facciata, che iniziata nel 1460 era stata poi interrotta all'altezza dello stilobate.

I lavori di costruzione proseguirono inizialmente con la direzione affidata ad alcuni stretti collaboratori del defunto architetto, fino al 1483, quando il nuovo "proto" venne scelto in Mauro Codussi, che si affermerà in seguito in città come uno dei maggiori architetti rinascimentali. Egli, pur conservando le linee di sviluppo del progetto iniziale, riuscì ad innestare con successo le parti mancanti nell'incipiente gusto rinascimentale: all'intersezione dei bracci della croce innalzò la cupola emisferica, coperta all'esterno da un'altra in legno e alta più del doppio, rivestita da lastre di piombo e sormontata da un cupoletto con croce (in tutta evidenza ispirata a quelle della vicina chiesa di San Marco. La realizzazione poté dirsi conclusa nel 1486 ed entro il 1490 fu completata anche la facciata. La chiesa fu alfine consacrata nel 1543.

 

CONTROFACCIATA

a sinistra, in alto: tela San Zaccaria nel tempio presenta l'offerta dell'incenso (1684 circa), di A. Zanchi.

a sinistra, in basso: tela Madonna col Bambino, San Giovanni e altre sante (secolo XVII), di A. Vassilacchi (detto L'Aliense). segue: Annuncio dell'Angelo a San Zaccaria (1684 circa), attribuito ad  A. Zanchi.

al centro: dipinto in lunetta Annuncio dell'Angelo a San Zaccaria (inizio secolo XVII), di J. Palma il Giovane.

a destra, in alto: tela Nascita di San Giovanni Battista (1684 circa), di A. Celesti.

a destra, in basso: tela Il sacrificio di Isacco (secolo XVII), di A. Vassilacchi (detto L'Aliense).

a destra, in basso: scultura lignea con immagine di Cristo (‘300), assai venerata.

NAVATA CENTRALE

soffitto: caratterizzato dalle volte a crociera.

al di sopra del presbiterio: scultura lignea Crocifisso ('300).

acquasantiera a destra: San Giovanni Battista (1543-47), statua in marmo di A. Vittoria.

acquasantiera a sinistra: San Zaccaria (copia dell'originale di A. Vittoria che fu trafugato in anni recenti).

NAVATA DESTRA

parete destra della navata, decorazione superiore:

primo lunettone: La visita pasquale del Doge alla chiesa (1688), di A. Zonca; secondo lunettone: La visita dell'imperatore Ottone III alla chiesa nell'anno 1001 accompagnato dal Doge Pietro Orseolo II (1705-10), di G. Fumiani; terzo lunettone: Il Doge Piero Lando assiste alla consacrazione della chiesa nel 1543 da parte di Giovanni Lucio Stofilio, vescovo di Sebenico (secolo XVIII), di D. Heintz.

alla parete:

urna di marco sanudo, morto nel 1505, opera rinascimentale di A. Leopardi.

Primo Altare

all'altare: pala Madonna col Bambino, San Benedetto e altri santi (1605) di J. Palma il Giovane.

alla parete:

in alto: San Leonido vescovo segue: San Bellino vescovo (secolo XVII), dipinti di G. Bissoni, provenienti da Padova e qui posti per celare le antiche grate da dove le monache assistevano alla messa.

in basso: Adorazione dei magi (1717 circa) dipinto di N. Bambini.

Secondo Altare

dedicato a San Zaccaria. Sorretta da due angeli, vi è collocata l'urna che custodisce il corpo del santo titolare e la cui realizzazione è attribuita ad A. Vittoria.

all'altare: San Zaccaria in gloria tra angeli (1599) dipinto di J. Palma il Giovane.

alla parete:

in alto: San Massimo vescovo segue: San Fidenzio vescovo (secolo XVII) dipinto di G. Bissoni, provenienti da Padova e qui posti per celare le antiche grate da dove le monache assistevano alla messa.

in basso: Adorazione dei magi (1704-1708 circa) dipinto di A. Balestra.

sopra la porta:

L'angelo Raffaele porta la guarigione in casa di Tobia (1630-40), dipinto di B. Strozzi.

portale d'entrata: (opera del Vittoria)

cappella di sant'Atanasio (ex coro)  >>

da questa si passa alla:

cappella di san Tarasio (ex abside)  >>

alla parete:

in alto: San Pietro (secolo XVII) dipinto di G. Bissoni, proveniente da Padova e qui posto per celare le antiche grate da dove le monache assistevano alla messa. in mezzo: Circoncisione di Gesù (1710 circa) dipinto di A. Calvetti. in basso: Adorazione dei pastori (seconda metà secolo XVII) dipinto di A. Celesti.

PRESBITERIO ABSIDATO

a destra della volta: La moglie, la figlia e i parenti di Gilio, profughi da Padova sbarcano nell'isola di Dorsoduro (1684 circa), affresco di A. Zonca.

al catino absidale: San Zaccaria in gloria (seconda metà del XVIII secolo) affresco di G. Pellegrini.

all'altar maggiore: Cristo alla Colonna; Cristo coronato di spine; Cristo morto e Cristo risorto (1600 circa) quattro piccole tele ai quattro lati del tabernacolo di J. Palma il Giovane. Il tabernacolo, a forma di tempietto, è costruito su modello del Vittoria, che scolpì gli angeli a bassorilievo.

a sinistra della volta: Attila conquista Aquileia e Gilio fa mettere in salvo moglie e figlia (1684 circa) affresco di A. Zonca.

DEAMBULATORIO

Il deambulatorio o peribolo, ha il pavimento quasi completamente ricoperto di lastre tombali del Rinascimento.

da destra, prima cappella radiale:

a destra: Madonna del Rosario (secolo XVIII), scuola veneziana.

a sinistra: San Pietro  e il gallo (1670-75), dipinto di F. Rosa.

seconda cappella radiale:

al centro: organo (1790), di G. Callido.

terza cappella radiale:

all'altare: Circoncisione (inizi secolo XVI), attribuito a G. da Santacroce.

quarta cappella radiale:

all'altare:

navata sinistra

decorazione superiore:

terzo lunettone: Il trasferimento dei corpi dei santi Pancrazio e Sabina dalla vecchia alla nuova chiesa nel 1628 (1684), di A. Zanchi.

alla parete:

monumento funebre di alessandro vittoria (m. 1608), da lui stesso iniziato nel 1566, continuato dal cognato Lorenzo Rubini, è a forma di edicola, ornato al centro del busto autoritratto, circondato da figure allegoriche delle tre Arti e da due putti; sul pavimento è la pietra sepolcrale. attorno al monumento: Santo cavaliere e Santa martire (1732), modi di G. Diziani.

portale d'entrata

sagrestia  >>

alla parete:

Presentazione di Maria al tempio (1600 circa), dipinto di A. Vassilacchi (detto l'Aliense).

decorazione superiore:

secondo lunettone: La visita di papa Benedetto III al monastero nell'855 (1684), di A. Celesti.

secondo altare:

di san gerolamo, la sua realizzazione è attribuita a P. Lombardo.

all'altare: Sacra conversazione (Madonna col Bambino, San Gerolamo, San Pietro, Santa Caterina, Sant'Agata, angelo musicante) (1505), pala di G. Bellini. Costituisce l'opera più famosa della chiesa, splendidamente inserita nell'architettura dell'altare. Nel 1797 venne trasferita a Parigi ma fortunatamente restituita nel 1815 dopo il Congresso di Vienna.

alla parete:

Sposalizio della Vergine (1600 circa), dipinto di A. Vassilacchi (detto l'Aliense).

decorazione superiore:

primo lunettone: Il Doge Agnello Partecipazio e l'imperatore ricevono dall'Oriente il corpo di San Zaccaria (1684), di A. Celesti.

primo altare:

all'altare:  L'intercessione di Cosma e Damiano per l'intervento di Cristo a favore di un malato, alla presenza di Giovanni e Zaccaria (1555-60) pala di G. Porta (detto il Salviati). Opera tra le più idonee ad esemplificare la sua formazione artistica fiorentina.

alla parete:

Visita di Maria ad Elisabetta (1732), di A. Trevisani.

 

 


Sagrestia

attraverso il portale si accede ad un elegante ambiente rinascimentale.

all'altare: Crocifissione con la Vergine, San Giovanni e la Maddalena (1568) dipinto di P. Farinati, unica sua opera in Venezia. Sostituì la pala Madonna col Bambino in trono e i Santi Giovanni Battista fanciullo, Giuseppe, Girolamo, Giustina e Francesco (1562) di P. Veronese, che era stata fatta eseguire a spese del Procurator de San Marco Francesco Bonaldi per adempiere ad un voto fatto in morte del figlio dodicenne, sepolto con genitori e parenti ai piedi del secondo altare a sinistra. La pala venne da qui rimossa nel 1817 ed attualmente è conservata presso le Gallerie dell'Accademia.

 


Cappella Sant'Atanasio

costituiva il coro delle monache, le quali attraverso le grate alle finestrelle aperte sul muro della navata destra potevano assistere alle funzioni in chiesa senza essere viste.

all'altare: realizzato nel 1598 dal Vittoria. Nascita di Giovanni Battista (1563 circa); dipinto di J. Tintoretto, in origine dietro il coro delle monache. segue sulla destra: Fuga in Egitto (seconda metà del secolo XVII) dipinto di G. Tiepolosegue: Cristo nell'orto (1660 circa) dipinto di M. Desubleo, proveniente dal monastero della ciexa de Santa Crosesegue: Madonna col Bambino tra i Santi Bernardino, Gregorio Magno, Paolo, Elisabetta, Benedetto e Placido (1512) pala attribuita a Palma il Vecchiosegue: Trasporto del corpo della Vergine al sepolcro (secolo XVII) dipinto di L. Bassano, proveniente dal monastero della ciexa del Santo Sepolcro. segue: Lavanda dei piedi (1620-28) lunetta dipinta da J. Palma il Giovane. segue: Crocifissione (1622 circa) dipinto di A. Van Dick. donata alla chiesa nel 1794 e proveniente da Ca' Barbarigo "della terrazza". segue: Martirio di san Lizerio (1620-28) lunetta dipinta da J. Palma il Giovane. segue: Deposizione della Vergine nel sepolcro (secolo XVII) dipinto di L. Bassano, proveniente dal monastero della ciexa del Santo Sepolcro. segue: Discesa di Cristo al Limbo (1620-28) lunetta dipinta da J. Palma il Giovane. segue: Davide vincitore festeggiato dalle fanciulle di Gerusalemme (1595) ante d'organo dipinte da J. Palma il Giovane. San Gregorio e santi (1600 circa) dipinto di A. Vassilacchi (detto l'Aliense).

coro ligneo: si trovava in origine nell'attuale cappella San Tarasio (ex abside) disposto lungo le pareti del presbiterio, arrivando fino al centro della navata principale. Venne commissionato nel 1455 e terminato nel 1464 dagli intagliatori vicentini F. e M. Cozzi.

 


Cappella San Tarasio

costituiva l'abside della primitiva chiesa, ricostruita in stile gotico fiorito o tardo gotico nei primi decenni nel 1440 da A. Gambello. Già presbiterio della preesistente costruzione, è ad abside poligonale, aperta da sette alte e strette bifore, con volte a costoloni. 

sull'urna marmorea a destra: Polittico del corpo di Cristo, detto anche del Sepolcro (1443) cornici intagliate e dorate da L. da Forlì,  pitture di A. Vivarini, G. d'Alemagna. al riquadro inferiore: Cristo nel sepolcro e Pie donne, fra  San Pancrazio, San Nereo e San Achilleo. al riquadro superiore: Cristo risorto. L'urna marmorea ha incisa una scritta relativa ai santi Pancrazio, Nereo e Achilleo.

sulla parete a destra: San Benedetto (1451), statua lignea di grandezza quasi naturale, scolpita per il coro delle monache ma qui portata fin dal 1595.

all'altare: Polittico della Vergine (1443) cornici intagliate e dorate da L. da Forlì, pitture di A. Vivarini, G. d'Alemagna, ad eccezione delle tre tavole centrali (Madonna col Bambino, San Martino e San Biagio) datate 1385 e dipinte da S. Veneziano (plebanus, ossia parrocchiano di Sant'Agnese. La parte posteriore della grande ancona mostra i santi di cui si conservano in chiesa i corpi o le reliquie: San Zaccaria al centro, Santo Stefano, San Tommaso, San Gregorio, San Teodoro, San Leone, Santa Sabina, San Pietro, San Claudio, San Tarasio, San Nereo, Sant'Achilleo, San Pancrazio.

Ai piedi dell'altare resti del pavimento musivo dell'abside della preesistente chiesa romanica (secolo XII).

catino absidale:

rara testimonianza dell'arte toscana a Venezia, stanno raffigurati ognuno in ciascuna vela costolonata della volta gotica, al centro: Padre Eterno, a sinistra: San Giovanni Battista, San Matteo, San Marco; a destra: San Zaccaria, San Luca, San Giovanni Evangelista.

intradosso dell'arco: rivestimento in finto porfido con dieci busti di Profeti e Santi entro ghirlande e svolazzanti "lemnischi" (nastri).

Datati 1442 e firmati A. da Firenze e F. da Faenza, sono opera giovanile di A. del Castagno.

sulla parete a sinistra: San Zaccaria (1451), statua lignea di grandezza quasi naturale, scolpita per il coro delle monache ma qui portata fin dal 1595.

sull'urna marmorea a sinistra: Polittico di Santa Sabina (1443) cornici intagliate e dorate da L. da Forlì, pitture di A. Vivarini, G. d'Alemagna. al riquadro inferiore: Santa Sabina, fra San Gerolamo e San Lizerio. al riquadro superiore: angelo fra Santa Margherita e Sant'Agata. L'urna marmorea contiene le presunte reliquie della martire titolare del Polittico.

coro ligneo: composto da 49 dossali riccamente intagliati ed impreziositi con le "cape" ossia le cimase rigate a forma di conchiglia, era disposto in origine lungo le pareti del presbiterio e arrivava fino al centro della navata. Commissionato nel 1455 e terminato nel 1464 dagli intagliatori vicentini F. e M. Cozzi. Oggi nella vicina cappella SanT'atanasio. 

Facciata e portale:

il primo ordine, cioè la zona del basamento, fu realizzato dal Gambello, che aveva scelto la posa di marmi policromi. Ai lati del portale, nel 1470 circa vengono anche inseriti a coppie di due, entro cornici a putti e festoni, i busti di quattro profeti.

Il portale, opera di G. Buora, alla morte del Gambello era affiancato da paraste preziosamente lavorate a candelabre, concluso nel 1483 con il coronamento a timpano semicircolare che venne inserito nel secondo ordine. Sopra il timpano, nel 1580 circa A. Vittoria aggiunse la statua di San Zaccaria, scolpito mentre tiene in mano un lungo cartiglio.

Subentrato in seguito  nella direzione dei lavori, il Codussi si applicò al completamento della facciata fra il 1485 e il 1490, che impostò sul classico modulo trilobato, principale e ricorrente caratteristica del suo personale stile costruttivo.

Accantonando decisamente la policromia del predecessore e privilegiando invece il biancore della pietra d'Istria, Codussi iniziò ad operare a partire dal secondo ordine, che ritmò da quattro robuste lesene, mosso dall'inserimento di una bifora per lato e da una fitta successione di piccole nicchie cieche. Nei comparti mediani, divisi da snelle colonnine abbinate, poste in sostituzione delle robuste lesene, la muratura fu aperta da ampie finestre, secondo una gradazione progressivamente inversa, che si accentua verso l'asse centrale, fino a giungere al grande occhio finale, circondato da numerose modanature.

Gli elementi architettonici quali le bifore, le lesene, le colonne binate e le finestre di diverse dimensioni, ben si fondono con il prospetto suddiviso a fasce orizzontali ripetute, dove ciascun ordine è scandito da cornici in forte rilievo. La conclusione "codussiana" con timpano semicircolare sopra la navata centrale, raccordato alle due laterali da mezzi timpani a quadro di cerchio rappresenta la "firma" del celebre artista al monumentale capolavoro.

All'estrema sommità della facciata, che sovrasta di oltre due metri il retrostante tetto della navata centrale, è posto il Redentore, mentre altre quattro statue di angeli che reggono gli strumenti della passione sono poste ai lati dei timpani.

La sacrestia venne iniziata nel 1488 e completata nel corso del 1562; in seguito, utilizzando la navata centrale e quella destra della vecchia chiesa si diede mano alla realizzazione del celebre  parlatoio dove le monache, benché di clausura, ricevevano liberamente la visita di ospiti e parenti e dove si organizzarono sontuose feste e mascherate fino a tutto il Settecento.

Fu poi la volta della realizzazione del coro delle monache (attuale cappella SanT'Atanasio), che fu realizzato inglobando la navata sinistra della vecchia chiesa nella nuova ed ultimato entro il 1595.

Tra la nuova chiesa e il campanile, è ben visibile parte della facciata del precedente edificio religioso (modificata, presenta la cortina a mattoni di due colori e fregio in cotto ad archetti ogivali e rosette), nonché, a seguire, la cosiddetta scholetta.

 

L'interno:

come già detto, l'impianto strutturale fu mantenuto così come era stato impostato dal Gambello, ossia la pianta a tre navate suddivise da colonne poggianti su altissimi plinti poliedrici, con basi e capitelli realizzate da G. A. Buora nel 1480, (la presenza dell'aquila allude volutamente alla presunta partecipazione dell'imperatore di Bisanzio, Leone V l'Armeno, alla fondazione della chiesa).

La presenza della cupola emisferica, la scelta del soffitto realizzato a volte a crociera, le limpide superfici esaltate dalle cornici in pietra nera di Verona, infondono a tutto l'insieme un effetto di leggerezza e di luminosità, caratteristiche purtroppo in seguito ridotte dall'inserimento sulle pareti laterali dei grandi teleri secenteschi.

Il presbiterio è formato dall'altar maggiore circondato dall'abside pentagonale realizzata “a giorno”, su due ordini di arcate di stile diverso. Nel deambulatorio posteriore si aprono quattro cappelle radiali semicircolari con cupolette (la prima delle quali è stata sostituita dall'accesso alla vecchia chiesa). Si noti che tutta la struttura, così concepita, costituisce un unicum per Venezia e varie sono le interpretazioni relative alla sua utilità.

Secondo alcune interpretazioni, il deambulatorio sarebbe stato realizzato per ricavare i posti necessari per permettere alle alte cariche dello Stato di partecipare alle liturgie civili. Più convincente è però la teoria secondo cui il deambulatorio fu invece progettato come luogo di passaggio della processione pasquale dietro l'altar maggiore. Qui infatti venne sistemato il cosiddetto sepolcro di Cristo, costruito con una parte originale del sepolcro di Gerusalemme e fino ad allora conservato nella cripta: tutto il popolo poteva così vederlo e toccarlo. L'immagine del Cristo morto, scultura lignea ancora oggi conservata in chiesa, veniva tolta il sabato santo, così che il sepolcro appariva vuoto in armonia con la liturgia della resurrezione. Un secolo più tardi il sepolcro venne rimosso e venne costruito il nuovo altare con le quattro piccole tele di J. Palma il Giovane, collocate sui quattro lati del tabernacolo. Non per questo cessò nel pomeriggio del giorno di Pasqua la devozione dello Stato e del popolo, che rendevano omaggio a Cristo risorto, passando dietro l'altare.

L'imponente decorazione che copre le pareti delle navate è senz'altro uno dei nuclei principali della pittura veneziana del '600. In sostituzione di affreschi di cui è ignoto il soggetto, il ciclo illustra in sei lunettoni celebrativi e spettacolari gli episodi salienti delle vicende del monastero ed è opera, verso la metà del nono decennio, dei più noti artisti veneziani del secolo.

Strettamente legata al mondo politico veneziano, non a caso la chiesa divenne durante il medioevo il pantheon veneziano: vi ebbero infatti sepoltura ben otto Dosi, alcuni dei quali furono uccisi proprio all'uscita della chiesa, oppure mentre tentavano di salvarsi da congiurati o facinorosi, cercando asilo nell'edificio sacro.

Cripta:

vi si accede attraverso la Cappella San Tarasio (ricavata dall’antica abside della vecchia chiesa). Fu realizzata fra il X e il XI secolo, è divisa in tre navate da colonnine sostenenti volte a crociera.

Convento:

Nell’855 papa Benedetto III, per sfuggire all’antipapa Anastasio, si rifugia in questo convento al quale dona molte reliquie al monastero che nel corso del X e XI secolo acquisisce un consistente patrimonio grazie a donazioni di terreni in terraferma. Divenuto in breve uno dei luoghi socialmente più prestigiosi della città e posto sotto la protezione del Dose che ogni anno si recherà a visitarlo, il monastero sarà prediletto dalla nobiltà veneziana per l’istruzione delle figlie.

Riedificato sotto il Dose Orso Partecipazio, brucia completamente con la chiesa, dove erano sepolti otto Dosi  nell’incendio del 1105, in cui muoiono soffocate cento suore.

Le campane dell'Ave Maria, all'alba e al tramonto, accompagnavano un tempo l'apertura e la chiusura dei soli due ingressi attraverso i quali ancora oggi è possibile accedere in campo San Zacaria.

Sul portale tardo-gotico, entrata principale che si apre su campo San Provolo, un altorilievo accoglie ancora oggi il passante. In alto San Zaccaria con la benda sacerdotale intorno alla fronte, al centro la Vergine con il Bambino, ai lati San Giovanni Battista e San Marco Evangelista.

Facendo ingresso nell’antico recinto delle Benedettine, fatti pochi passi, sulla sinistra si può ancora leggere il severo monito scolpito su di una lapide datata 1620.

Arrivati in campo, tutto il lato settentrionale è chiuso da un portico a un solo piano, con arcate a tutto sesto concluse da una trabeazione rettilinea. Esso costituiva l'antico cimitero del convento. Nel 1608 la parte centrale diventò sede della schola de devozion de San Zacaria, San Lizerio e Santissimo Sacramento, qui trasferitasi dalla schola originaria che si trovava nell'attiguo campo San Provolo, come ricorda un'iscrizione posta all’interno sopra la porta principale. Dopo la soppressione napoleonica, tutto il complesso venne destinato ad altri usi.

Al lato opposto di campo San Zacaria, appena prima di imboccare il sotoportego che conduce all'entrata secondaria (assai più anonima), il cinquecentesco portale d'accesso consente l'ingresso al monastero. Il vasto complesso conventuale conserva sostanzialmente intatta la conformazione raggiunta tra la fine del '400 e gli inizi del '500 (contemporaneamente alla ricostruzione della chiesa). Articolato attorno ai due ampi chiostri porticati di gusto codussiano, in particolare nel secondo spicca il loggiato superiore, scenograficamente aperto sulla parte absidale della chiesa.

Alla caduta della Repubblica, il convento venne soppresso e secolarizzato per effetto degli editti napoleonici del 1810, in seguito adattato nel 1830 dagli austriaci a sede della "Ragionateria Centrale", oggi esso ospita il comando cittadino dell'Arma dei Carabinieri.  

Campanile: (campaniel) .

il campanile originario, coevo alla prima chiesa, fu abbattuto per problemi statici nel corso dell’XI secolo, venendo in seguito ricostruito nel Trecento in stile veneto-bizantino, utilizzando materiali di risulta.

Diversamente da oggi, nella pianta del de’ Barbari del 1500 il campanile termina con una cuspide piramidale che si intuisce essere ricoperta di lamine di piombo.

Nel 1510 le cronache riportano che una tromba marina di inaudita violenza fece crollare la cuspide che trascinò con sé anche la cella. Entrambi gli elementi vennero ripristinati nel 1520 così come possiamo ammirarli oggi.

La robusta canna, in mattoni, è priva di zoccolo e parte direttamente da terra; si caratterizza per la presenza su ciascun lato di una doppia lesena e ghiera doppia.

La cella si apre a trifore, con archi a sesto rialzato che poggiano  su stampelle e colonnine in pietra d’Istria. Il parapetto è realizzato nello stesso materiale.

Infine la copertura, realizzata a quattro falde in coppi, si appoggia sulla cella che risulta alleggerita alla sommità dall’inserimento di archetti a tutto sesto.

Bibliografia:

 

Flaminio Corner

Venetia città nobilissima et singolare”.

Stefano Curti, Venezia 1663

 

Flaminio Corner

Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane e torcellane

Stamperia del Seminario, Padova 1758

 

Giambattista Albrizzi

Forestier illuminato. Intorno le cose più rare e curiose, antiche e moderne, della città di Venezia e dell’isole circonvicine.

Giambattista Albrizzi, Venezia 1765

 

Cesare Zangirolami

Storia delle chiese dei monasteri delle scuole di Venezia rapinate e distrutte da Napoleone Bonaparte.”

Arti Grafiche E. Vianelli, Mestre, 1962

 

Umberto Franzoi / Dina Di Stefano

Le chiese di Venezia

Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo, Venezia 1975

 

Tudy Sammartini / Daniele Resini

Campanili di Venezia

Edizioni Grafiche Vianello, Treviso 2002

 

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