La sarìa curiosa ...

'na testa e do traditori

SESTIER DE

 S. POLO

Già dalla lettura del titolo,  'na testa e do traditori , (una testa e due traditori), la trama di questa curiosità si presenta un po' aggrovigliata, principalmente a causa di due singolari concomitanze, ambedue assegnate dalla voce del popolo.

Primo aspetto: in città al Conte di Carmagnola sono tradizionalmente attribuite ben due teste: la capoccia di cui qui si tratta e quell'altra, collocata in piazza San Marco, che però viene quasi sempre associata alla curiosità del  povaro fornaretto .

Secondo punto: in verità non nemmeno tanto certo se quella che si trova ghermita dalla fiera sia proprio la testa del Conte di Carmagnola (il quale effettivamente la perse, accusato dalla Repubblica di tradimento), oppure invece quella del Dose Marin Falier (che subì anch'egli la stessa sorte, per aver tramato di volgere la Repubblica in Principato).

 

Sul tema il Lorenzetti (Venezia e il suo estuario, TRIESTE, 1963, pag.574) propende per la teoria del Carmagnola:

"CHIESA DI SAN POLO (…) In fianco alla Chiesa sorge il campanile costrutto nel 1362 come da iscriz.; è in cotto, con pigna terminale conica, esempio caratteristico del campanile venez. trecentesco. - Sul basamento stanno due Leoni marmorei, l'uno con testa umana, l'altro con un serpe fra gli artigli: la leggenda popolare volle congiungere queste figurazioni simbolico-decorative, assai in voga nell'architett. Romanica, con la figura del Conte di Carmagnola, decapitato nel 1432, riconoscendo nella testa umana il capo mozzato dello sciagurato condottiero".

 

Supponendo dunque che il legittimo proprietario della testa colà raffigurata possa essere il Conte di Carmagnola, dal Romanin (Storia documentata di Venezia, VENEZIA, 1973, tomo IV, pag.112) ho ricavato la seguente cronaca degli avvenimenti che precedettero e seguirono la decapitazione:

"Nella guerra contro il Visconti, giunta l’armata veneziana innanzi all’Adda, non procedeva però il Carmagnola a guadarlo per assalire Milano. Vedendo che il conte nulla operava a vantaggio della Repubblica, il giorno 28 marzo 1432 il Consiglio dei Dieci, chiedendo ed ottenendo dal Senato una Zonta di altri venti consiglieri, deliberò di assumere tutte le decisioni allo scopo di portare il Carmagnola a Venezia. Il giorno dopo, 29 marzo 1432, fu tosto deliberato di mandare a Brescia, ove allora dimorava il Carmagnola, il segretario Giovanni de Imperiis che partì da Venezia munito di opportune istruzioni e dissimulando così bene il proposito di cattura, che il Carmagnola si lasciò docilmente condurre senza sospetto a Venezia, dove una volta giunto venne ricevuto da otto nobili e introdotto a Palazzo.

Chiuse le porte, egli attese lungamente di essere presentato al Doge col quale poi avrebbe dovuto cenare; infine venne uno dei Savi del Consiglio a riferirgli che il Doge era indisposto e che l’avrebbe visto l’indomani.

Carmagnola mosse allora per andarsene a casa, sempre accompagnato dagli otto nobili di scorta, ma dirigendo verso le rive come per salire in gondola, al momento in cui il gruppo pervenne al portico dove erano le prigioni, gli venne detto: “Signor conte, per di qua” - “Questa non è la via”, egli rispose – “Oh sì, ella è anzi la vera”. E usciti gli sgherri, lo trascinarono dentro la porta, avendo egli il tempo di esclamare: “Sono perduto!”

Il 9 aprile 1432 ebbe inizio il processo e dopo la pausa per la settimana Santa, il 23 dello stesso mese con 19 voti a favore della pena capitale e solo 8 che accoglievano la proposta del Doge di commutare la pena capitale in carcere a vita, il Carmagnola venne condannato al taglio della testa, essendo condotto al supplizio con una spranga alla bocca e le mani legate dietro la schiena, secondo il rito solito, alla nona, ora consueta, fra le due colonne della piazzetta di San Marco. Il corpo del conte venne portato con ventiquattro doppieri alla chiesa di San Francesco della Vigna, ma mentre stava per essere tumulato, sopraggiunse il frate che l’aveva confessato dichiarando che il defunto voleva essere seppellito a San Francesco della Cà Granda, quindi a Santa Maria Gloriosa dei Frari, dove fu allora trasportato e sepolto nel chiostro. Più tardi fu trasportato a Milano dove ebbe sepoltura nella chiesa di San Francesco grande, vicino alla tomba di Antonietta, sua moglie".

 

A sorpresa però, il Tassini (Curiosità Veneziane, VENEZIA, 1886, pag.576) reputa invece essere più convincente l'ipotesi che la testa appartenga, se deve essere associata ad un proprietario, al Dose Marin Falier, motivandone anche il perchè:

"(...) il suo campanile venne finito per opera di Filippo Dandolo, procuratore della fabbrica (di San Polo), e sopra di esso scorgonsi due leoni, l'uno dei quali ha il collo avvinchiato da un serpente, e l'altro tiene fra le zampe una testa umana tronca dal busto, allusione, giusta alcuni, alla trama e alla punizione di Marin Faliero, e, giusta altri, di Francesco Carmagnola. Quest'ultimi però non s'accorgono che il carattere dello scarpello accenna ad un'epoca alquanto anteriore alla morte dell'infelice generale.(...)".

Il Dose Marin Falier assurse al trono dogale nel 1354 e venne decapitato nel 1355. Il campanile venne completato nel 1362, in tempo perchè il gravissimo avvenimento fosse ancora ben presente nel ricordo del maturo tajapiera che compì l'opera.

Si vuole che la fosse la rabbia derivante dalla seguente pasquinata (sonetto irriverente), trovata appiccicata dietro lo scranno dogale, a far perdere al Dose prima il lume della ragione e, poco tempo dopo, anche la testa:

El Dose Falier

da la bela mujer

altri la galde

lu la mantien

 


 

 

 

 

CONTRADA

S. POLO

CAMPIELLO

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