SESTIER DE S. CROSE |
ciexa de Sant'Andrea de la zirada |
CONTRADA S. CROSE |
Cenni storici: Il 18 dicembre 1329, alla
richiesta presentata da quattro nobildonne veneziane (Francesca Corner,
Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e Maddalena Malipiero), il Capitolo della chiesa di Santa Crose concesse
loro di costruire entro i confini della Contrada un ospeal nel quale ricoverare e
assistere alcune povere donne, da esse già riunite e mantenute, con annesso
un piccolo oratorio che fu
posto sotto la protezione di Sant’Andrea Apostolo. Il vescovo di Castello, Angelo Dolfin, esprimendo il suo consenso, concesse anche la
possibilità futura di erigere una chiesa e un monastero, subordinandola però
al reperimento dei mezzi finanziari e, in qual caso, anche che le donne
indossassero l’abito monacale. Il terreno disponibile fu individuato
nella località cittadina conosciuta come cao de zirada, in quanto in quel
punto (cao) il canal
de Santa Ciara con ampia curva
piegava (zirava) verso ovest, puntando alla
chiesa di Santa Maria Mazor,
a quel tempo anch’essa affacciata sulla laguna. Tale lotto era però contiguo
alle monache Clarisse
del convento di Santa Ciara
in isola, che professando l’assoluta povertà e perciò temendo una
drastica riduzione degli oboli della pubblica carità, mossero le loro
doglianze al vescovo, il quale confermò il decreto il 27 giugno 1331. Le Clarisse vennero allora a più miti consigli e il
5 luglio il vescovo ratificò l’accordo fra le due comunità, sicché il 21
novembre poté concedere indulgenze a chi avesse sostenuto con elemosine
l’opera delle quattro nobildonne. Dogando Andrea Dandolo (1343–1352), morte
nel frattempo la Corner e la Gradenigo, la comunità
giunse al 1346 quando le due
fondatrici superstiti, assieme ad un gruppo di altre sette donne, grazie alla
generosa donazione elargita dalla cittadinesca famiglia Bonzio,
ebbero finalmente la possibilità di demolire l’oratorio e sostituirlo con una chiesa, nonché costruire il
monastero e votarsi alla clausura. Le donne implorarono anche la protezione
del Dose, e questi ricevette dal Maggior Consiglio con Parte del 17 agosto 1346 il jus patronato per sé e i Dosi successori “come lo possiedono nel Monastero di Santa Maria delle Vergini” e
con diploma del 25 successivo egli dichiarò il monastero di “pubblica ragione”. Da parte sua, il
vescovo di Castello, Nicolò Morosini, confermò la
costruzione della chiesa e del monastero disponendo che, indossando l’abito
grigio, dovessero le monache professare la regola di Sant’Agostino. La prima Priora fu scelta da Elisabetta Soranzo,
rimasta l’unica superstite delle quattro fondatrici, che indicò nel 1347 Giacomina Paradiso che però morì
in quello stesso anno. Nel 1348,
decimate dal morbo, nel monastero erano rimaste solo due suore, al che la Priora divenne Elisabetta Soranzo, che diresse poi per vent’anni la comunità,
ripopolandola di giovani. A suggellare il juspatronato, quando nel 1368 fu nominata Priora Tommasina Morosini, la conferma
arrivò il 5 agosto con diploma del Dose
Andrea Contarini. Le religiose intanto continuarono
l’impegno delle fondatrici di ospitare e sfamare povere donne, ma fino al
1684, quando a tale obbligo esse sostituirono quello di accogliere tre converse l’anno, senza obbligo di dote. Per la loro austera moralità, la grande
religiosità e l’assoluta obbedienza professata dalle monache, il monastero fu
oggetto di grandi attenzioni da parte di papa Gregorio XII, al punto che
quando il Senato comandò a tutti i
religiosi dello Stato di riconoscere papa Alessandro V e poi papa Giovanni
XXII, le monache si dissero disposte a lasciare la città piuttosto che non
riconoscere pontefice Gregorio XII. Non per questo venne meno l’universale
stima e ammirazione, sia dai prelati che dai laici, che continuò nel
tempo. La chiesa, a suo tempo realizzata con i
fondi della famiglia Bonzio, versava ora in
condizioni di grave degrado, e il Senato,
consapevole che la chiesa fosse juspatronato del Dose,
l’11 agosto 1475 decretò
l’assegnazione di mille ducati. I lavori di restauro si protrassero fino alla
fine del secolo, accogliendo nella ristrutturazione le nascenti soluzioni
architettoniche, espresse nella sistemazione della facciata e nella
realizzazione degli interni. Con i suoi cinque altari, la chiesa fu infine
consacrata nel 1502 dal
veneziano Giulio Brocchetta,
arcivescovo di Corinto, dedicata a Sant'Andrea
Apostolo, naturalmente accompagnato
dal suffisso de la zirada. Ulteriori interventi agli interni della
chiesa si ebbero nel corso del Seicento quando, secondo il gusto del tempo,
fu realizzata una scenografica decorazione a stucchi e il nuovo soffitto
piano, che modificarono sostanzialmente l’austero aspetto gotico originario.
Nella stessa epoca fu eretto anche il nuovo altar maggiore, il cui progetto
fu elaborato da Le Court (rappresentando l’ultima opera realizzata dallo
scultore fiammingo, a lungo operante a Venezia, che qui però, più che
altrove, si espresse in forme barocche oltremodo cariche). Caduta la Repubblica nel 1797, nel corso della seconda
occupazione francese, in esecuzione del decreto del Regno Italico dell’8
giugno 1805, i beni immobili furono avocati allo Stato il 18 giugno 1806. La
comunità monastica fu però conservata per effetto del decreto 28 luglio 1806
ma per essere definitivamente soppressa il 25 aprile 1810. Le monache Agostiniane furono fatte sgombrare e la chiesa,
chiusa al culto il 12 maggio 1810, fu riaperta il 25 ottobre successivo come
succursale dei Tolentini.
Il monastero di Sant’Andrea de la zirada invece, rimasto disabitato, fu in
gran parte demolito. Riguardo il
contesto paesaggistico che oggi circonda la chiesa, solo le antiche immagini
possono offrire al contemporaneo la sensazione di isolamento del luogo dove
la chiesa e il monastero furono fondati, un’area che oggigiorno ha subito una
radicale devastazione rispetto al caratteristico tessuto urbanistico
veneziano, subendo radicali trasformazioni prima e dopo la seconda guerra
mondiale, con la realizzazione del garage comunale, di Piazzale Roma e del
ponte della Libertà. Il sagrato, un
tempo ameno spazio erboso che si apriva sull’ampio orizzonte della laguna,
oggi guarda oltre il canal de Santa
Ciara la zona portuale e lo scalo
ferroviario, mentre alle spalle e lungo il fianco sinistro della chiesa,
quasi a ridosso, si ergono le enormi autorimesse. Nel 1957,
dopo una notevole opera di restauro, la chiesa venne riconsacrata ma restò
aperta per poco tempo e quindi chiusa nuovamente nel 1960. In seguito l’edificio venne dato in uso per dodici anni come
laboratorio all’artista Gianni Aricò ma alla sua
dismissione essa giacque nuovamente inutilizzata. Dopo un accurato restauro
da parte della Soprintendenza, al tetto e agli interni, nel 2015 la chiesa è stata resa
nuovamente visitabile in occasione di talune iniziative culturali. |
Visita alla
chiesa:
Sopra la porta
d’ingresso, appoggiato alla controfacciata, il barco (coro pensile),
caratteristica delle chiese monastiche femminili di clausura a Venezia (Sant’Alvise,
Sant’Isepo). Risultato della profonda
ristrutturazione seicentesca, esso ha conservato le due colonne trecentesche
originarie di sostegno e i barbacani gotici in legno. La fronte è riccamente
decorata con stucchi, realizzati a ricchi ed elaborati motivi floreali a
festoni, che inquadrano le due ampie aperture protette da grate in ferro
battuto, dietro alle quali le monache assistevano alle funzioni religiose. fra le due grate:
stava
il dipinto Cristo morto fra San Carlo Borromeo ed Angeli di D. Tintoretto. a terra: lastra tombale di Marco dei Gusmieri, vescovo di Napoli di Romania (arte della Rinascenza).
Originariamente con le capriate gotiche
di sostegno al tetto lasciate a vista, nella ristrutturazione seicentesca la
realizzazione dell’attuale soffitto piano ribassato ha modificato la
percezione spaziale dell’interno. al soffitto: cornice dorata
con tondo centrale: stucco e policromia Spirito Santo in forma di colomba.
Primo
Altare all'altare: entro la nicchia
statua marmorea San Nicolò vescovo
(secolo XVIII). Epigrafe entro elaborata cornice barocca, realizzata sullo stile degli altari, busto femminile ed epigrafe dedicatoria. Secondo
Altare: all'altare: entro elaborata nicchia, statua marmorea Santa Maria di Cheofa
(secolo XVIII). Organo: qui si trovava in antico il terzo altare
(poi demolito) con all'altare: pala Sant’Agostino e due angeli (secolo XVII) di P. Bordone. Fu poi
collocato l’organo, in seguito rimosso; lo si ricorda ricco di intagli, con
portelle dorate e dipinte da D.
Tintoretto. Dossali
lignei. a terra: lastra tombale. Porta
ingresso Sagrestia: sopra la porta: epigrafe
in
Sagrestia: alle pareti: stavano esposte cinque tavolette, ovvero i comparti della vecchia cantoria dell’organo, attribuite a D. Tintoretto.
Rialzato rispetto alla navata di due gradini e separato da due
balaustre a colonnette di marmo di Verona,
alle pareti: stavano due dipinti: Crocefissione e Ultima Cena di D. Tintoretto altar maggiore: elaborata composizione barocca di
marmi e statue, Trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor,
(1679). E’ questa l’ultima opera eseguita a Venezia dallo scultore fiammingo G.
Le Court. dietro l’altar maggiore:
bassorilievo marmoreo Annunciazione (XVIII secolo). a terra:
lastra tombale di Flaminio Corner,
eminente erudito veneziano. (+ 1778)
Porta
ingresso Sagrestia. Pulpito: pentagonale in marmo con ambone ligneo lavorato (XVIII secolo). Qui si trovava in antico il terzo altare (poi demolito) con all’altare: pala San Gerolamo di P. Veronese. secondo
altare: all'altare: entro la nicchia statua marmorea Sant'Andrea (XVIII secolo). primo
altare: all'altare: entro la nicchia statua marmorea Crocefisso (XVIII secolo). Giambattista Albrizzi nel suo “Forestiero
Illuminato” del 1772, così descriveva l’interno della Chiesa: “La Chiesa ha sette altari,
maestrevolmente, e riccamente lavorati. Si vedono ai lati dell’Altar Maggiore,
due quadri del Tintoretto. La tavola di Sant’Agostino
è di Paris Bordone; e quella di San Girolamo
è di Paolo Calliari. Delle due tele poi sopra il
Coro delle Monache, l’una è di Tintoretto, l’altra del Palma. All’Altare maggiore
si vede una gran mole di pietra macchiata, che figura il monte Tabor e vi sono sei figure di marmo bianchissimo assai
bene intese. Bellissima è pure la
statua di Sant’Andrea posta sopra il suo
altare …”
|
||||||
La facciata e il portale: La facciata,
assieme al portale, rappresentano tutto ciò che rimane della tarda
costruzione gotica risalente al 1475.
Realizzata in
muratura a vista, la facciata è tripartita da lesene, unite in alto da
archetti ciechi. Il grande portale,
archiacuto, è di semplice fattura e ha un coronamento mistilineo che richiama
quelli della chiesa di Sant’Aponal
e di San Zuane in bragora. L’ogiva sopra il portale contiene due
bassorilievi del XIV secolo, raffiguranti rispettivamente la Vocazione degli
Apostoli Pietro e Andrea e il Cristo passo. Nella zona
superiore del prospetto si apre il rosone, affiancato da due monofore. |
|||||||
L’interno: L’interno,
costituito da una sola navata, presenta l’impianto tipico delle chiese di
piccola e media dimensione che furono costruite a Venezia nella seconda metà
del Quattrocento. Nel corso del 1679 fu eretto l’altar maggiore e
venne portata a compimento la decorazione a stucchi che, assieme al nuovo
soffitto piano ribassato, modificò sostanzialmente l’originario interno della
fabbrica gotica. Nonostante i
rimaneggiamenti subiti però, resta ancora leggibile la forte rassomiglianza
con la chiesa di Sant’Alvise, non solo
nell’uniformità di dimensione della struttura dell’aula, ma anche per la
presenza del barco,
(il coro pensile) collocato, come d’uso a Venezia per le chiese conventuali
delle monache di clausura, sopra la porta d’ingresso e posto in diretta
comunicazione con l’annesso convento. |
|||||||
Il campanile: Sul lato destro
della chiesa, addossato alla facciata, il campanile a canna quadrata fu
innalzato nel 1475 anch’esso, come
la chiesa, a spese della cittadinesca famiglia Bonzio. L’antica cella
campanaria è oggi sormontata dal tamburo e dalla cupoletta a cipolla, che
sostituirono nel corso dei rimaneggiamenti operati nel XVIII secolo
l’originaria realizzazione gotica costituita da un’alta cuspide affiancata da
quattro edicole, ben visibile nelle incisioni dell’epoca. |
|||||||
Il monastero: Nei tempi antichi,
l’area del monastero risultava in pratica quasi completamente circondato
dall’acqua: verso nord e verso est stavano i due rami generati dalla
biforcazione del rio de Sant’Andrea (oggi
divenuti entrambi rio terà), a ovest il
Canal de Santa Ciara, e oltre la
laguna. Diversamente dal
solito, ma forse proprio in ragione della sua origine, il complesso
conventuale non rappresentava alcuna organicità planimetrica, risultato
evidente dei continui adattamenti che si susseguirono ai parziali
ampliamenti. Il nucleo
edilizio era infatti costituito da un insieme di case, raggruppate attorno a
dei cortili interni, con le facciate chiuse verso l’esterno e congiunte fra
loro da alte mura di cinta. |
|||||||
Bibliografia: Flaminio Corner “Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello,
tratte dalle chiese veneziane e torcellane, illustrate da Flaminio Corner
senatore veneziano” Padova, 1758 Umberto Franzoi / Dina Di Stefano “Le chiese di Venezia” Azienda Autonoma
Soggiorno e Turismo, Venezia 1975 Giulio Lorenzetti “Venezia e il suo estuario” Edizioni Lint, Trieste 1956 |
|||||||