schola de devozion |
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Nell’ambiente
veneziano Sant’Orsola era assai
venerata e le peripezie della sua vita formarono numerosi episodi poetici e
romanzeschi che furono descritti nel duecento da Jacopo da Varagine nella sua “Leggenda Aurea”, e quindi
diffusi a Venezia nell’edizione adorna di xilografie, stampata nel 1475. Racconta
Jacopo da Varagine che nel 384 dieci
ambasciatori del re pagano di Inghilterra vennero alla corte
del re cristiano di Bretagna per chiedere la mano della
principessa Orsola per il principe Ereo,
figlio del loro re. Il re di Bretagna diede il suo assenso purché Ereo ricevesse il battesimo e acconsentisse, prima
della nozze, a lasciare che la principessa Orsola compisse il
voto di una peregrinazione religiosa, accompagnata da dieci nobili fanciulle,
ciascuna seguita da uno stuolo di mille vergini. Accettò il re d’Inghilterra
e la gran carovana, seguita da carri e preceduta da gonfaloni e da una croce
d’argento, iniziò il suo viaggio cantando orazioni e salmi penitenziali. Una
tremenda tempesta obbligò il peregrinaggio a fermarsi a Colonia
dove Orsola ebbe la visione di un angelo che le disse di andare
a Roma, ritornando poi a Colonia per la palma del martirio. E le vergini per
Magonza, Basilea, Berna, Pavia giunsero a Roma accolte da papa
Ciriaco, che avendo avuto anch’egli la stessa visione, a loro si univa
nel viaggio di ritorno rinunciando al papato. Sotto le mura di Colonia,
assalite dagli Unni, trovarono la morte le vergini e la bella e
santa Orsola e con lei anche papa Ciriaco ed Ereo, il principe inglese battezzato che era venuto
ad incontrarla. Nel prologo della
mariegola
viene ricordato che il 16 luglio 1300 “fo comencada et fada questa benedeta congregation a lode et
honor de santa Orsola verzene
et tuta la soa compagnia de biade (bianche) verzene
et martire gioriose“. Viene citato
perciò il Dose Piero Gradenigo
il quale, unito al Minor Consejo,
aveva acconsentito alla fondazione della confraternita (la cui dedicazione completa fu: di Sant'Orsola e delle Undicimila Vergini);
essendo stabilito che non potesse appartenere alla schola chi avesse provocato danni allo
Stato o nutrisse "déspresio" per
il Dose. Ogni nuovo confratello doveva promettere davanti
all'altare di osservare la mariegola,
ricevendo in cambio il bacio di pace. A discrezione del gastaldo sarebbero stati espulsi coloro che avessero
rifiutato senza giustificato motivo di assumere la carica alla quale eletti. La
sede venne inizialmente ospitata in alcuni locali messi a disposizione dai domenicani dentro il convento adiacente la chiesa di San Zanipolo. Nel 1310 i confratelli
sono nelle condizioni economiche di poter iniziare la costruzione della
propria sede, potendola anche presto completare grazie al generoso lascito
testamentario redatto nel 1318 da un confratello,
tale Pollini, ricco mercante. Una volta ultimata, la schola era un edificio a forma
rettangolare, all’epoca preceduto anche da un portico, e la suddivisione
interna tipica di queste costruzioni: al pé
pian (primo piano) le stanze ad uso delle cariche amministrative e l'oratorio, mentre al soler (primo
piano) vi era la sala dell’albergo.
Nelle maggiori funzioni i confratelli
vestivano cappe bianche, dai doppieri in argento pendevano tre lunghi nastri
di raso con l’insegna della schola,
il pennello o stendardo di seta,
era uno splendido arazzo del trecento intessuto d’oro; nel giorno della festa
della santa, quale usanza di questa sola schola, si davano da baciare (o
qualche volta si regalavano) immagini sacre miniate su pergamene, come le
paci derivate dal rito greco. Nel 1455 fu deciso che per essere beneficati dalla schola i poveri dovessero essere scelti solo fra gli iscritti da almeno cinque anni. Non potevano però iscriversi coloro che avessero subito condanne. Dopo più di un secolo la schola aveva prosperato: nobili, cittadini e popolani in un comune sentimento religioso e nel pensiero che fosse “bona et aliegra cosa compagnarse insieme et esser umili in lo amor de Dio” si riunivano nella confraternita de Sant’Orsola divenuta ricca per lasciti, per protezioni, per donativi. Essa però divenne meritamente famosa quando nel 1488 i confratelli decisero di abbellire con pitture l’interno dell'oratorio e dal patrizio Leonardo Loredan, suo grande protettore, eletto più tardi Doge, venne affidato a Vittore Carpaccio, della contrada dell’Angelo Raffele, la realizzazione del ciclo pittorico delle storie di Sant’Orsola. Il celebre pittore eseguì la commissione tra il 1490 e il 1495, narrando in grandi teleri la storia della patrona Sant’Orsola, mentre la schola stabilì un’autotassazione fino a che non saranno pagate le spese "per far i teleri de le istorie de madonna santa Orsola". Il piccolo oratorio subì in seguito alcuni interventi di ristrutturazione, fra cui il maggiore si ebbe nel corso del 1504-8, quando venne realizzato l’attiguo presbiterio. Nel 1506 un inventario dei beni della schola riporta, fra le altre cose, anche l’esistenza di "quattro bandiere da trombetti". Nel 1509 il Minor Consejo interviene per sanare i dissidi sorti fra i domenicani e la schola, ricordando che la reliquia della testa di Sant'Orsola, di cui oltretutto è proprietaria la Signoria, è stata affidata in custodia ai domenicani ma perchè venga esposta dentro la schola nei giorni della vigilia e della festa della Santa. Le offerte che si raccoglieranno serviranno per la costruzione di un tabernacolo che sia "condegno"; in seguito le offerte saranno suddivise a metà fra i domenicani e la schola. Nel 1551 tale Gerolamo Santacroce riceve in pagamento dalla schola la somma di 25 ducati per la realizzazione del penelo (insegna) "da campo". Nel 1619 i Provedadori a la sanità concedono che la schola abbia un questuante che giri per la città, per la raccolta di olio da bruciare dentro un recipiente sigillato. Il questuante avrà "un gaban de griso, una vesta in tela rossa e un cappello da piova". Nel periodo fra il 1637-46 la schola ottiene dai domenicani il permesso di poter sottoporre l'edificio a nuovi interventi edilizi, ricevendo dai padri anche un contributo di 50 ducati per la rifabbrica della cappella di Sant'Orsola. Vengono quindi aperti dei lunettoni, costruite due porte ai lati dell’altare e demolito il portico e l’albergo. Una lapide commemorativa dell'impegnativo restauro (oggi scomparsa) fu posta per l'occasione sopra la porta d’ingresso. Nel 1668 i confratelli fecero costruire un nuovo altare per esporre degnamente le reliquie, su questo venne anche posta un’Annunciazione, opera di Aldobrandini. Nel 1675 i Provedadori a la sanità, allo scopo di agevolare le processioni, permettono la riapertura delle due porte della chiesetta della schola che immettevano nel retrostante cimitero. Queste nel 1673 erano state chiuse per ordine della stessa magistratura. Nel 1693 avviene una composizione con la schola dei mercanti della Madona de l'orto per l'amministrazione della commissaria Giovanni Pollini il cui testamento, come detto all'inizio, risaliva al 1318. Nel 1750 ai Provedadori de Comun risulta che la schola sia in gravi problemi economici e perciò l'anno seguente permettono che i guardiani delle altre schole diano un'offerta per le necessità della schola de Sant'Orsola, ma ciascuno non oltre i 5 ducati. Nel 1758, sollecitato dalla schola, il Consiglio dei Diese respinge la richiesta avanzata dai domenicani di poter trasferire alla domenica successiva la celebrazione della messa mensile per la schola, poiché in quel giorno ricorre la festività della Pasqua. Nel 1769 la schola ottiene di poter costruire “una sacrestia di dietro la cappella e facendosi il suo coperto a coppi e due balconcelli con le sue feriade”. Nel 1770 i Provedadori de Comun ordinano nuovamente la chiusura delle due porte che, dalla cappella di Sant'Orsola, immettono nel retrostante cimitero. Nel 1774 i domenicani acconsentono che la schola possa fissare una campanella all'esterno, su un supporto di ferro, per avvisare i fedeli delle funzioni. Con la caduta della Repubblica, in seguito agli editti napoleonici nel 1807 la confraternita viene soppressa e tutte le sue proprietà avocate al Demanio; gli otto teleri e la pala opera del Carpaccio vennero assegnati alle Gallerie dell’Accademia, mentre invece l’altare di pietra con la balaustra fu posto in vendita ed acquistato dalla chiesa di Santa Maria Formosa. Dopo la sua soppressione, le trasformazioni edilizie occorse resero abbastanza problematica l’identificazione dell’antico edificio. Il Molmenti si dice convinto che l’antica costruzione fosse andata completamente distrutta, tesi peraltro condivisa anche dal Perocco, secondo il quale oltretutto la sua ubicazione originaria era di fianco alle absidi della chiesa. Il Pignatti prospetta invece la possibilità che la schola sorgesse inizialmente isolata nel campo, come si nota nella pianta cinquecentesca del De’ Barbari e in seguito demolita e ricostruita nel 1647 adiacente alle absidi. Fu però in seguito ai risultati degli scavi eseguiti agli inizi degli anni ’60 (i cui risultati sono esposti nel bollettino dei Musei Civici Veneziani del giugno 1963) che si poté affermare con sicurezza che la schola de Sant’Orsola vada identificata con l'edificio attualmente addossato alla parte absidale destra della chiesa, che conserva le originali mura perimetrali trecentesche. La struttura architettonica esterna della schola (oggi al civico 3636) si può dire essere sostanzialmente intatta; oggi la storica costruzione, adibita a dimora dei domenicani, è perfettamente visibile a chi la guardi da campo San Zanipolo.
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