Ospeai & Ospissi |
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La storia. Anticamente Case di Dio erano detti gli ospizi che offrivano accoglienza ai pellegrini che sostavano in attesa di raggiungere, via mare, il Santo Sepolcro in Terra Santa oppure, via terra, per lucrare le indulgenze a Roma (per la strada chiamata appunto per questo motivo Romea). Già alla metà del secolo XIII esisteva a Venezia un ospizio per pellegrini, sorto in un terreno di proprietà del monastero di San Zorzi Mazor, che era stato a questo scopo donato, nel 1254, dall'abate Marco Bollani a un tale fra' Lorenzo. Successivamente lo stesso fra' Lorenzo ebbe in donazione da parte di Marco Trevisan, varoter (pellicciaio), un terreno localizzato in questa Contrada, lascito che venne ratificato dal Consejo Mazor nel 1272, con la condizione che in esso vi fosse costruita una chiesa e un ospizio. Di questa sede originaria si sa poco o nulla, d'altra parte però la compatta schiera di case che è visibile nella pianta cinquecentesca del De' Barbari, è risaputo che incorporasse anche un piccolo oratorio, dedicato a Santa Maria Assunta. Con l'occasione delle crociate, gli ospiti più frequenti di questa struttura furono i pellegrini in transito per la città, ma già nel 1300, essendo allora di molto scemato l'originario fervore religioso, iniziarono ad essere ammesse anche le donne. La gestione dell'ospissio fu in questo periodo lasciata ai frati, a loro volta coordinati dai cinque Priori che vennero eletti in successione al fondatore, fra' Lorenzo. Tale pratica venne però drasticamente interrotta nel 1360, quando alcuni frati genovesi, giunti in città e qui alloggiati, tentarono di appiccare il fuoco alla vicina Caxa de l'Arsenal. Dopo questo increscioso episodio, l'ospissio perdette la sua autonomia e venne condotto sotto la giurisdizione del Dose, pur se ciò si sviluppò in assenza di alcun documento ufficiale. Nel corso del 1367 cambiò intanto in modo definitivo anche l'originaria destinazione d'uso, quando, per disposizione del Mazor Consejo, in ospissio poterono essere legalmente ammesse solo donne "povere e oneste", in breve tempo assurte al numero di venticinque. Nel 1556, probabilmente a scanso di fraintendimenti burocratici, il Mazor Consejo approvava una Parte (legge) che sottoponeva ufficialmente l'ospissio al juspatronato ducale, dovendo perciò il Prior rispondere del suo operato gestionale direttamente al capo dello Stato. Venne inoltre deliberato che il numero delle ospiti ammesse fosse ampliato da venticinque a cinquanta, con ciò autorizzando l'accesso anche alle vedove di soldati e di impiegati della pubblica amministrazione. A ribadire ulteriormente la stretta dipendenza dal Dose, intervenne in seguito una terminazione del 1561 che confermò come nessuna magistratura potesse ingerirsi dell'attività dell'ospissio, ciò in analogia al trattamento riservato alle altre Istituzioni sottoposte all'autorità della massima magistratura della Repubblica (decreto che venne nuovamente confermato da una Parte del Mazor Consejo approvata nel 1736). Con una Parte approvata nel 1623 il Mazor Consejo volle ulteriormente specificare il tipo di utenza ammessa al ricovero, provvedendo anche a riordinarne l'organizzazione interna: potevano ora trovare ospitalità donne povere, di origine nobile o cittadina originaria, oneste, libere da vicoli matrimoniali, non inferiori a 30 anni e obbligate a dimorare nella cameretta loro assegnata. Le ospiti, chiamate cameriste, eleggevano al loro interno una Priora e due portinaie e conducevano una vita abbastanza indipendente, potendo disporre di un focolare in camera e potendo svolgere attività retribuita all'esterno dell'ospissio. L'amministrazione finanziaria, notevolmente accresciutasi grazie alle cospicue donazioni nel frattempo affluite, venne affidata a cinque Priori nominati dal Dose. Altre mansioni erano svolte dal Revisor, l'Appontador, il Medico, il Chirurgo, l'Inserviente, il Proto, lo Spezial, il Mansionario, e le Infermiere. Dopo il 1797, con la caduta della Repubblica l'ospissio sopravvisse alle soppressioni comandate dai decreti napoleonici nel primo decennio dell'800. Conservando l'uso per il quale era stato fondato, ai giorni nostri esso è adibito a casa di riposo per anziani autosufficienti.
L'edificio. Grazie allo speciale status acquisito nel 1360 con la sottomissione verbale alla giurisdizione del Dose, l'ospissio si arricchì in breve tempo di molti lasciti. Ciò permise nel 1544 ai Procuratori de San Marco de supra di prendere autonomamente l'iniziativa per un completo rinnovo del manufatto, incarico che tosto affidarono al celebre Jacopo Sansovino, il cui progetto venne approvato l'anno seguente. Nel corso del 1547 però, per il tramite del Prior, incaricato a sua volta dal Dose Francesco Donà, i lavori dovettero essere momentaneamente sospesi, in quanto venne fatto rilevare ai Procuratori che l'unica autorità pubblica deputata a farsi carico dei bisogni dell'ospissio era, per antica consuetudine, esclusivamente il Dose. Benché, formalmente, l'ingerenza che veniva ora contestata ai Procuratori non avesse modo di essere suffragata dagli atti, (lo juspatronato vero e proprio sull'ospissio sarà infatti effettivamente dichiarato solo nove anni dopo, nel 1556), posti davanti a tanta autorevole richiesta, quei gravi magistrati, apprezzati in tutta Europa per la serietà e la sobrietà con la quale gestivano le immense fortune derivanti da lasciti, commissarie e testamenti, risposero semplicemente: in buon'ora sia. Non è possibile dire se l'edificio attualmente visibile sia stato effettivamente condotto a termine dal Sansovino, giacché del disegno del progetto non è rimasta alcuna traccia negli archivi. Solo le precise regole osservate nel corso della sua ristrutturazione, volte a privilegiare l'individuale, fanno propendere quanto meno verso un impegno indiretto da parte del grande Architetto. L'ospissio presenta infatti due soli elementi di rilievo comunitario: lo spazio interno della corte e l'oratorio, due elementi peraltro rilevabili in tutti gli altri ospedali, grandi e piccoli, esistenti in città, e qui presenti con le caratteristiche proprie degli edifici di questo tipo. La corte non è definibile un chiostro, mancandone la continuità funzionale con l'insieme, mentre l'oratorio, come invece è proprio degli ospedali, si presenta del tutto accorpato all'interno dell'edificio, con una presenza tutto sommato non immediatamente individuabile entro il prospetto principale. Infine, la sistemazione delle cellule abitative individuali, configurano in planimetria una soluzione distributiva tipica anche di molti altri ospizi di rango minore, con l'allineamento di una serie limitate di cellule che gode ciascuna di una propria autonomia. In questo caso sono sei i gruppi di utenti, distribuiti su tre piani e in due ali, ciascuna dotata di ingresso distinto.
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