SESTIER DE CASTELO |
ciexa de la Pietà |
CONTRADA S. ZUANE IN BRAGORA |
Cenni
storici: E’ immaginabile che sin dalle origini, al
servizio del “Pio Istituto de la Pietà” ci dovesse essere anche una chiesa che
comunque doveva avere l’ampiezza e la consistenza propria di un oratorio,
ricavato all’interno di uno degli edifici preesistenti a quelli attuali.
Negli anni successivi al 1515, a seguito dell’acquisto di altre case e della
successiva ristrutturazione edilizia, uno degli interventi riguardò appunto
anche l’oratorio che da questo momento si qualificò architettonicamente
attraverso una piccola facciata inserita nella fronte della casa prospiciente
la riva dei S’ciavoni in angolo con la calle de la Pietà. Alcune immagini ottocentesche ne mostrano
ancora gli elementi compositivi: il portale compreso fra le due finestre
laterali ed il frontone triangolare sostenuto a sua volta da colonne d’angolo
poggianti su alti plinti. Soltanto agli inizi del XVIII secolo
venne approvata la ricostruzione dell’intero complesso e i lavori ebbero
inizio nel 1744 e riguardarono
però soltanto la chiesa, poiché invece dell’ospizio venne realizzata solo la
fascia sinistra a ridosso della chiesa. Dalla priorità che venne data alla
costruzione della chiesa appare evidente l’interesse che i committenti
ponevano alla fabbrica nella sua doppia funzione di luogo sacro e più ancora
di sala da concerto. Quando nel 1745 Giovanni Poleni e Bernardino Zendrini giudicarono, a dieci anni di distanza, il
progetto del Massari essi proposero per la chiesa alcune importanti modifiche
volte a rendere migliore l’acustica e ad aumentare la luminosità interna; il
Massari però non ne volle tener conto e realizzò l’edificio secondo la sua
idea originaria. Il 14 settembre del 1760 la chiesa fu ufficialmente consacrata a cura del Primicerio di San Marco, giacché ospedale e chiesa erano
di diritto dogale, con tre giorni di Messe e di musiche del Latilla per far festa all’avvenimento. Seguì la visita
ufficiale del Dose Francesco Loredan, accompagnato
dalla Signoria. Grande risonanza ebbe questa nuova opera,
sia per la sua veste architettonica che per la funzione di sala da concerto,
forse la maggiore fra quelle allora esistenti a Venezia. Molto si parlò anche
del concerto di inaugurazione, al quale mancò soltanto Antonio Vivaldi, morto nel 1743, la cui opera
tanto aveva contribuito alla fama dell’ Ospeal de la
Pietà. Con la fine della Repubblica nel 1797
anche le strutture amministrative dell’Ospeal de la
Pietà
entrarono in crisi, con contraccolpi sulla chiesa, che rimase pressoché abbandonata.
Il patriarca Monico, nella visita pastorale del 31
maggio 1831 disponeva che si completasse la facciata e pavimento della chiesa
nonché il restauro della pala di San Spiridione. Le
sue rimasero parole al vento. Nella terza visita del 30 giugno 1842, il
medesimo ordine veniva ripetuto per la pala di San Spiridione
aggiungendovi che nell’altare del Rosario i gradini di legno fossero
sostituiti con quelli di marmo. Un primo lotto di restauri fu attuato nel 1852
con la sostituzione del pavimento del Massari in cotto con uno a lastre
marmoree, con la trasformazione della sacrestia in cappella della Addolorata
e, a sua volta, destinando a sacrestia lo stanzino di sinistra, accanto al
presbiterio. |
Opere d’arte all'interno: Atrio: a sinistra: busto (1875) di Fra’ Pietro d’Assisi fondatore dell’Ospeal de la Pietà; a destra: busto (1875) di Gaetano Fiorentini banchiere veneziano finanziatore del completamento della facciata. al soffitto dell’entrata
principale: affresco La
Fortezza e la Pace, grandiosa opera settecentesca di G. B. Tiepolo. controfacciata: al Coro:
Gesù in casa
di Simone, pala firmata di A.
Bonvicini detto il Moretto da
Brescia (1554). Tela lavorata per il convento dei Santi fermo e Rustico
di Monselice nel 1548, divenuta proprietà dell’Ospeal de la
Pietà,
a motivo dei debiti contratti. navata: al soffitto: affresco La Gloria o L’incoronazione
di Maria Immacolata, grandioso capolavoro realizzato da G.B. Tiepolo (1755). La Vergine, in
piedi sul globo, circondata dalla corte celeste, sta per essere incoronata
dal Padre Eterno. Il tema assunto dal Tiepolo nel suo vasto affresco gli fornì
anche il pretesto per esaltare l’arte della musica, inserendo 17 strumenti a
corda e a fiato di uso comune uso. lato destro, primo altare: altare
della Madonna del Rosario incompleto, fu eseguito a spese di
privati, cioè 200 ducati nel 1747 per celebrare la festa del domenicano San
Vincenzo Ferreri, venerato nella vecchia chiesa della Pietà, e altri 200
ducati nel 1752 in onore di San Domenico. A sua volta nel 1746 un anonimo
devoto a San Giuseppe compiva una donazione, cosa che ha potuto far entrare
nella pala in primo piano a destra la figura di Santa Teresa d’Avila,
promotrice sia del culto per tale Santo sia pure del Rosario. all’altare:
Vergine col
putto e San Vincenzo Ferreri, San Domenico, Santa Teresa d’Avila e San Pietro
Acotanto, pala di F. Cappella detto Daggiù, allievo del Piazzetta (qui collocata il 3
settembre 1761). Ingresso dalla calle: lato destro, secondo altare: altare
di San Spiridione Il medico greco Salvatore
Guarda, ospite nel convento di San Francesco de la vigna, tra il 1741 e
il 1745 finanziò la realizzazione di questo altare, dedicato al santo nazionale
della Grecia veneta e patrono di Corfù (chiamato anche San Spirignon, dal greco spiròs=fuoco).
L’altare fu consacrato il 14 dicembre 1760. all’altare:
San Spiridione fa scaturire l’acqua da una fiamma,
pala di D. Maggiotto
allievo del Piazzetta (1758). presbiterio: vi si accede a mezzo di gradinate. Esso è
separato dai fedeli grazie alle balaustre, eseguite ciascuna a sette
colonnine, in rapporto simbolico ai sette sacramenti, o piuttosto alle sette
opere di misericordia, tipiche di pii istituti. Il fianco estremo, a destra e
a sinistra, si risolve in una transenna a giorno ad effetto di merletto di Burano. La cappella con l’altare è stata eseguita a spese
della nobile e potente famiglia Foscarini
dei Carmini,
onde lo stemma nel muro di fondo. L’altar maggiore,
settecentesco, ad impianto monumentale nel doppio colonnato in parete, il
quale sostiene il timpano dentellato con il consueto cherubino ridente,
sormontato dalla struttura rettangolare di richiamo palladiano, si conclude
nella nicchia radiale semicircolare. L’elegante tabernacolo di fini marmi, è ornato
di figurine di bronzo dorato: ai
lati, gli Arcangeli San Gabriele
e San Michele opera
di G. M. Morleiter
(1745); ai fianchi dell’altare San Marco (in onore di Marco Foscarini) opera di A. Gai (1753) e San Pietro (in onore di Piero Foscarini) di
G. Marchiori
(1753). all’altare:
La Visitazione di Maria ad Elisabetta
pala iniziata da G. B. Piazzetta
(metà del secolo XVIII) e completata da G.
Angeli dopo la sua morte. al soffitto, entro lunetta: affresco Le tre
virtù teologali Fede, Speranza e Carità capolavoro settecentesco di
G. B. Tiepolo. a sinistra del presbiterio: entro ricca cornice la pergamena miniata
relativa alla donazione che fece all’ Ospeal de la
Pietà la nobildonna Paolina Badoer
Mocenigo. lato sinistro, secondo altare: altare
di San Pietro Orseolo Illustre esempio all’invito di contribuire
con elemosine alla realizzazione della nuova chiesa, il Dose Francesco Loredan nel 1757 fece erigere a sue spese questo
altare, dedicato ad un antico Dose (976-978),
proclamato santo nel 1731. all’altare:
San Pietro Orseolo riceve l’abito da San Romualdo,
pala di G. Angeli discepolo del
Piazzetta (secolo XVIII, scoperta il 14 gennaio 1764). Il frammento osseo del
Santo, contenuto in una teca d’argento, è dono all’altare del Dose Alvise Mocenigo. Pulpito mobile: in lacca avoriata
ed intagli dorati, destinato alla sacra predicazione. Si è ipotizzato di
recente sia stato eseguito da Antonio Barbon su
disegno del Massari. Esso non fu inserito in parete, secondo la norma
liturgica, per non spezzare l’armonia decorativa della chiesa, soprattutto a
mezzo delle cantorie laterali. Il modello a mobile lo rende preziosa
testimonianza di un sistema non inusuale nelle chiese veneziane dell’epoca.
Si osservino le quattro assi di sostegno, strutturate secondo le linee curve,
che è poi il modulo massariano della chiesa. La
bigoncia sui tre lati reca simboli didascalici, o la legge di Mosè a cui si
ispira il predicatore, o la Fede al centro, della quale si nutre la sacra eloquenza:
il tutto incorniciato nelle ricurve
linee dorate. Nel cielo, o soffitto, con finto drappeggio, si apre in senso
pieno la colomba dello Spirito Santo. sopra l’ingresso all’antica sacrestia: organo collocato nella cantoria. Esso è a
tastiera unica, costruito da Pietro Nacchini nel
1759 e restaurato in parte nello scorso secolo. È alloggiato nel vano
centrale, mentre nei due vani laterali sorgono le canne mute, dovute a
finalità estetiche. Il prospetto si presenta ad unica campata non piramidale,
con i tromboncini alla base. La tastiera comprende cinquanta tasti in bosso;
la pedaliera è di diciotto pedali corti; la trasmissione è a catenacciatura; i registri sono diciannove, tra i quali
spiccano la voce umana, i flauti, l’ottavino, i contrabbassi e i tromboncini. ingresso all’antica sacrestia: Cappella
dell’Addolorata L’antica sacrestia venne adibita dal 1852
a cappella dell’Addolorata, ed ora ad altri usi. Lunga ventinove metri e larga
quattro, fu inserita dal Massari nel tessuto della chiesa a forma di manica
lunga, collegandola al presbiterio a mezzo di un corridoio, scavato entro il
paramento murario, che immetteva nel vicino Ospeal de la
Pietà,
agli effetti del servizio liturgico. sulla parete di fondo: altare ligneo con due statuette, della medesima
materia, Santa
Lucia e Sant’Apollonia e un Cristo deposto
sotto la mensa. lato sinistro, primo altare: altare
del S.S. Crocifisso all’altare: Cristo
in croce e i Santi Antonio di Padova, Lorenzo Giustiniani
e Francesco di Paola, pala di A.
Marinetti detto il chiozzotto allievo del Piazzetta (qui collocata il 21 agosto 1762).
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Facciata e portale: Del piccolo oratorio originario, alcune
immagini ottocentesche ne mostrano gli scarni elementi compositivi: il
portale compreso fra le due finestre laterali ed il frontone triangolare
sostenuto a sua volta da colonne d’angolo. Avviata successivamente la ricostruzione
dell’intero complesso ospedaliero, la nuova facciata era arrivata al terzo
inferiore delle colonne quando la caduta della Repubblica nel 1797 ebbe
pesanti contraccolpi sulla chiesa, che rimase pressoché abbandonata. Sebbene il patriarca Monico,
nella visita pastorale del 31 maggio 1831, disponesse per un intervento
risolutivo, il corso dell’intero secolo fu occupato dal problema di come completare
la facciata. Dopo varie peripezie, il Consiglio d’Amministrazione
dell’Istituto della Pietà decideva, il 2 dicembre 1901, di ripescare il
vecchio progetto del Graziussi e di attuarlo,
nonostante le fiere polemiche sorte in contrario. Il generoso lascito
testamentario di Gaetano Fiorentini bastò al finanziamento dell’opera e nel 1906
tutto era terminato. Rispetto al disegno originario del
Massari nella realizzazione furono alterate le proporzioni generali, fu
alzata la facciata oltre il livello voluto dall’architetto, furono chiuse le
quattro aperture tra i capitelli, per lasciare un ampio riquadro con la
riduzione delle dimensioni delle finestre centinate. Gli elementi decorativi massariani, così gustosi nel rococò del tempo, vennero
abbandonati. In pratica la facciata trascrive, quasi
alla lettera, la medesima della ciexa dei Gesuati: quattro colonne incassate in parete,
poggianti su alto basamento, che raccolgono due rosoni a raggi ruotanti (destrorsi
a destra e sinistrorsi a sinistra). Le colonne, coronate da capitelli in
stile corinzio, sorreggono il cornicione, in avvio al timpano dentellato con
il rosone centrale ad otto raggi. Il tutto inquadra il portale, timpanato,
che è autografo del Massari, a cui si accede con la gradinata di cinque
scalini (come ai Gesuati) sono tipici della “chiesa
mariana” poiché i cinque gradini sono allusivi al cinque misteri del Rosario. Nella cartella sopra il portale, riservata
usualmente all’iscrizione dedicatoria, si ammira il grande bassorilievo allegorico
raffigurante La
Carità, scultura opera di E.
Marsili (inizi secolo XIX). |
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Interno: Oltrepassato l’ingresso, si para innanzi
l’ampio atrio a forma di ellisse, absidato ai lati, in armonia con quella del
presbiterio. Una serie di iscrizioni lapidarie ai muri, eseguite nel corso
dell’Ottocento, ricorda la storia dell’edificio. Nel progetto del Massari, l’atrio
doveva adempiere la funzione di filtro dei suoni, di camera ovattata per
impedire che i rumori della riva turbassero il raccoglimento spirituale dell’ambiente
e l’esecuzione delle armonie musicali, giacché, non si dimentichi, la chiesa
esercitava la funzione di pubblico auditorium. Il vano sacro si presenta strutturalmente
coordinato e definito fin nei minimi particolari. L’impianto planimetrico
generale della chiesa è rettangolare ma con gli angoli fortemente smussati,
quasi a semicerchio, che conferiscono all’aula una forma pressoché ovale. Al
fine di creare l’illusione della cappella, i quattro altari agli angoli sono
posti in leggera rientranza. Sul fondo si apre il presbiterio che a
sua volta ripete nel proprio perimetro la forma ovale, con l’altar maggiore che
vi sorge isolato al centro. Lo affiancano ai lati i due ambienti del
battistero e della sacrestia, entrambi con pianta a perfetto semicerchio. La navata, ad unico ordine, con paraste e
sezioni di capitello corinzio su plinti di base, è coperta da un soffitto a
volta la cui speciale curvatura fu appositamente studiata dal Massari per
raggiungere la migliore sonorità. Dando l’impressione di un interno teatrale,
lateralmente si aprono i palchetti dell’orchestra e del coro (collegati al
corpo dell’Ospeal de la Pietà) con graziosi parapetti decorati e grate
in ferro battuto dove domina il motivo firma dell’ospedale, vale a dire i
fiori di melograno, simbolo iconografico dell’Immacolata, modello morale per
le giovani ospiti. |
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Il campanile: Oltrepassata la zona presbiteriale,
l’edificio si conclude con i due campaniletti, a
torretta a cella riquadra, tipici nelle costruzioni sacre del Massari. Anche
qui Il confronto con la ciexa dei Gesuati nasce spontaneo. Tuttavia qui, alla Pietà, la soluzione è
meno rococò, incline piuttosto a sensibilità, si direbbe, neoclassica. |
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