La sarìa curiosa ...

l'om po far ...

SESTIER DE

 S. MARCO

In Piazza San Marco, sul fianco meridionale della Basilica, fatti giusto due passi oltre il gruppo scultoreo conosciuto come  i quatro mori  in direzione della Porta de la Carta, è possibile scorgere sulla sinistra, quasi a livello del selciato, un composito bassorilievo che nel cartiglio reca inciso un aforisma: è questa la curiosità de  l'om po far ... .

In verità l'iscrizione racchiude in sè più di una particolarità: innanzitutto essa rappresenta uno tra i primissimi esempi rintracciabili in città di volgare veneziano del periodo gotico; è assai criptica nella sua interpretazione; è circondata da una complicata cornice, costituita da due putti che sorreggono il cartiglio mentre escono (o forse sono in procinto di esserne ingoiati?) dalle bocche di altrettanti draghi (tipica raffigurazione medioevale del demonio).

Tutto l'insieme è stato oggetto nel tempo di svariate interpretazioni.

 

Molto stranamente il Tassini non parla di questa curiosità, viceversa il Lorenzetti (Venezia e il suo estuario, TRIESTE, 1975, pag. 169) offre una precisa descrizione del fregio, ed evita di dare un'interpretazione al senso della scritta, oltretutto trascrivendola erroneamente:

"(...) in fianco alla facciata, allineata col Portale del Palazzo Ducale, si protende una massiccia Costruzione quadrata a forma di torre, attuale sede del Tesoro di San Marco. – Tradizione storica e ragioni stilistiche fanno supporre che questa fosse una delle torri angolari dell’originario Castello Ducale dei Partecipazio (sec. IX), trasformata forse, come si suppone da taluni, in Cappella per accogliervi temporaneamente il Corpo di S. Marco, nell’828, in attesa che fosse eretta la Chiesa in suo onore. (…) All'angolo (…) Più in basso: Fregio di rozza scultura (fine XIII sec.): due puttini uscenti dalle bocche di due draghi, recano un cartiglio con due versi, fra i più antichi esempi a Venezia in lingua volgare: "L'om po far e - die in pensar - e vega quelo che gli po inchontrar".

 

In questa occasione ho fatto ricorso al Miozzi (Venezia nei secoli – Il salvamento, VENEZIA, 1969, tomo IV, pag. 89) il quale, con prosa a tratti veramente appassionata, offre l'interpretazione che segue:

(...) Il lettore forestiero che verrà a Venezia abbia la bontà di soffermarsi in piazzetta avanti la Porta della Carta del Palazzo Ducale; a sinistra osserverà una scultura in porfido di quattro guerrieri che stanno confabulando, e sotto il sedile di marmo che corre in basso potrà vedere una rozza scultura del secolo XII, con due putti addentati da draghi, con quattro righe di scrittura in dialetto veneziano: l’om po far e dir in pensar e vega quel che il po inchontrar, che detta in parole di oggi potrebbe essere letta così: “l’uomo può fare e dire quanto ha pensato, ma prima di fare stia bene attento a quel che poi sarà per incontrare”.

Questa epigrafe, per il fatto di essere scritta in volgare e non in latino, per il fatto di essere stata collocata a fior di terra e non in luogo preminente, molto probabilmente è dovuta alla iniziativa di un qualche modesto maestro tagliapietre, che in essa ha voluto fermare il suo pensiero, essendovi indotto dallo stesso criterio per cui oggidì taluno scrive una sua idea al cronista del quotidiano locale con la speranza di vederla stampata nella rubrica dei lettori.

Ma nella sua semplicità ingenua essa esprime una grande massima, che dovrebbe essere assunta come direttiva da parte degli operatori di grosse imprese e da parte di coloro che hanno governo di uomini; e sembra poi fatta apposta per il nostro problema  della difesa della laguna e di Venezia stessa.

L’uomo ha avuto la facoltà di “poter far, ma vega qel che po inchontrar” deve cioè guardare al futuro, rendersi conto di quanto potrebbe avvenire anche in futuro, e non accettare una soluzione che ora può apparire quella buona solo perché sufficiente a tamponare l’immediato pericolo. Il mare è immenso, potente ed eterno, ed ha energie a non finire; l’uomo dispone di pochissime forze, ma ha avuto dal Signore il dono della intelligenza, la quale può offrirgli il mezzo per inserirsi senza suo danno tra le forze della natura scatenata, e cavarne un profitto che può esser cospicuo.

 

L'interpretazione fornita dall'illustre Ingegnere potrebbe anche essere condivisibile, se egli però non riportasse erroneamente il testo dell'iscrizione: egli infatti scrive dir invece di die, indica quel in luogo di quelo, ed infine che il al posto di chel i), errando infine anche sul numero delle righe, che sono cinque e non quattro.

Da me esaminato con attenzione da molto vicino, il cartiglio riporta esattamente le seguenti parole:

 

L  OM  PO  FAR  E

DIE  IN  PENSAR

E   VEGA  QUEL

O  CHEL  I  PO  IN

CHONTRAR

 

Giunti a questo punto, non mi sottraggo certo al tentativo di formulare anche una mia personale interpretazione. Partendo dunque dalla prima riga, che è abbastanza facile:

 

L  OM  PO  FAR  E    L'UOMO PUO' FARE E

 

Nella seconda riga la situazione si complica: DIE ha valore di DIO (die n'ai = dio ci aiuti) ma ha anche senso di DARE (sul coevo capitello gotico d'angolo, poco distante dal cartiglio, vi è incisa la scritta ... che die lege ... = che da la legge). Se però DARE appare fuori luogo, non altrettanto risulta inopportuno DIO, pertanto la frase risulterebbe:

 

DIE  IN  PENSAR

DIO PENSARE

 

La terza riga pare essere anch'essa abbastanza intuitiva, se non fosse per un dubbio interpretativo di VEGA: o accorciamento dialettale di VEGGA (ossia VEDA ma sarebbe declinato al singolare), oppure interpretabile come VENGA (meglio forse quest'ultimo):

 

E   VEGA  QUEL

E VENGA QUELLO

 

La quarta riga, tolta la prima lettera, O che, come detto, appartiene alla terza riga, e l'ultima sillaba IN che appartiene chiaramente alla quinta, rimane CHEL I PO, probabilmente scomponibile in CHE LI PO e quindi:

 

O  CHEL  I  PO  IN

CHE PUO' FARLI

 

La quinta riga si riduce infine ad una sola parola:

 

CHONTRAR

INCONTRARE

 

 

Quindi, alla fine, il senso compiuto della frase potrebbe essere il seguente:

 

l'uomo ha facoltà di realizzare concretamente (PO FAR); ma è Dio il pensiero, quasi l'ispirazione divina del suo agire (IN PENSAR), perciò si concretizzi (VEGA) un luogo dove i due possano entrare in contatto fra loro (CHEL I PO INCHONTRAR).

 

Che si tratti proprio della Cappella Ducale di San Marco ??

 


 

 

 

 

CONTRADA

S. MARCO

PIAZZA

S. MARCO

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