SESTIER DE DORSODURO |
ciexa de San Vio |
CONTRADA S. VIO |
Cenni
storici: La
tradizione vuole che la chiesa parrocchiale
sia stata fondata nel 912,
essendovi però qualche discrepanza nelle cronache su chi sia stato
l’effettivo fondatore. Alcuni la vogliono fabbricata dalla famiglia Magno,
chi ad opera delle famiglie Magno e Vido o, come
dicono altri, dalla famiglia Vido assieme alla
Balbi, quest’ultima in quel tempo da poco pervenuta a Venezia da Aquileia. Comunque
sia, la sua esistenza in quel remoto periodo è accertata in quanto essa è
citata nella mappa del Temanza del 1100, la più antica
riproduzione topografica di Venezia. Le antiche cronache la includono inoltre
fra le chiese che vennero riedificate in seguito al vasto e furioso incendio
che nel 1105 sconvolse la quasi
totalità di Venezia, assumendo al termine dei lavori la consueta forma della
basilica veneto-bizantina a tre navate. Contrariamente
all’usanza del tempo però, la fabbrica venne ricostruita in modo che il suo
asse longitudinale risultasse trasversale alla forma dell’isola su cui essa
sorgeva: una fascia di terra rettangolare con i lati minori sul Canalasso (nord) e
sul canal de la Zueca
(sud) e delimitata sul lato orientale e su quello occidentale rispettivamente
dal rio de le Toresele
e dal rio de San Vio.
La
chiesa, la cui facciata sorgeva sul lato est dell’allora piccolo campo San Vio, stava disposta parallelamente
fino a circa la metà della stretta calle de la
chiesa situata lungo il trafficato percorso pedonale che dalla ciexa
de la Carità andava alla ciexa
de San Gregorio. Sprofondato
il terreno sul quale sorgeva l’edificio con gravissimo pregiudizio della
fabbrica, la coincidenza che il 15 di giugno (giorno dedicato al Santo
titolare delle chiesa) del 1310 fosse stata sventata la congiura ordita dal nobilomo Bajamonte Tiepolo
contro la Repubblica, spinse il Senato ad intervenire prontamente per i
lavori di ricostruzione della chiesa e del campanile che nel 1315
già erano stati completati. Divenuta
la chiesa di una certa importanza per la Repubblica, con l’occasione, nel 1354 campo
San Vio subì un considerevolmente
allargamento con l’atterramento di tutti gli edifici esistenti sul lato nord,
finchè il nuovo e più ampio spazio pubblico ebbe
una propria riva direttamente sul Canalasso.
Nella
pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari del 1500,
la chiesa è raffigurata come un edificio di stile romanico, a tre navate, affiancato
verso l’abside da un tozzo campanile quadrato. In complesso, la struttura si
presentava non molto dissimile a quella della ciexa de San Nicolò dei Mendingoli
e della vicina ciexa de Sant'Agnese. Sempre secondo la raffigurazione del de' Barbari, la
chiesa non aveva cambiato orientamento, il lato sinistro si prolungava lungo
l'attuale calle de la chiesa, tra il rio de San Vio
e il rio de le Toresele,
mentre invece il lato destro in alcuni punti fungeva probabilmente da muro
divisorio con le abitazioni private che da quella parte letteralmente si
addossavano alla fabbrica. Anticamente
la chiesa fu Collegiata, ma nell’anno 1582,
Campeggio e Valiero, visitatori apostolici e
successivamente cardinali, avendone riscontrato la ristrettezza delle
rendite, la ridussero a parrocchiale diretta dal solo piovan (prete). Altri
interventi di ammodernamento e restauro dell’edificio si ebbero nel corso del
XVII e XVIII secolo. Essi interessarono anche la facciata, che fu ricostruita
prendendo spunto dai canoni coducciani della
rinascenza. Alla
caduta della Repubblica, la chiesa venne chiusa al culto nel 1806, in occasione dell’editto
napoleonico che stabilì la prima concentrazione delle parrocchie. Nel
1807 Gerolamo Padoan
chiedeva al demanio di acquistarne il pavimento, assieme ad un altare ed una
pila dell’acqua santa, per arredarvi una chiesa di campagna. Accordata la
vendita, il pavimento venne asportato ma lasciando scoperchiate le arche dove
ancora stavano i resti dei corpi dei defunti ivi sepolti e che solo nel 1812
troveranno pietosa sistemazione presso l’ossario dell’isola di Sant’Ariano. Nel
1809 l’altar maggiore veniva
acquistato da Gioacchino Vaerini. Infine,
il 13 luglio 1813, dichiarato
pericolante, l’edificio venne messo all’asta come materiale da costruzione.
Si presentò l’imprenditore edile Pietro Crovato
che, impegnatosi ad eseguire lavori al muro di cinta dell’area indemaniata
del convento di Sant’Agiopo, in Contrada San Geremia, ottenne in cambio “fondo e materiali” della chiesa che
venne tosto demolita e quindi allestita sull’area resa libera un deposito di
pietre e altri materiali. Morendo nel 1817,
il Crovato lasciava però alla famiglia il desiderio
di veder costruito un oratorio nell’area dell’ex chiesa. Il
nuovo proprietario, Gasparo Biondetti,
genero del Crovato, che nel 1856 capeggiando un
gruppo di cittadini aveva acquistato e salvato dalla demolizione la Schola Granda de San Zuane Evangelista, nel 1864
realizzava, sull’angolo sud-ovest del
fondo, quindi a destra del luogo dove anticamente sorgeva la facciata della
chiesa, una piccola cappella progettata da Giovanni Pividor,
recuperando ed utilizzando il marmo rosso del
portone di Ca’ Tiepolo di Bajamonte
collocandolo all’interno del portale della nuova cappella. Questa
venne aperta al culto il 25 giugno 1865
e per molto tempo in essa fu celebrata la Santa Messa. Oggi, sconsacrata,
viene utilizzata come appendice di un’abitazione privata. Sul
resto dell’area, in seguito venne innalzato un anonimo edificio di edilizia
popolare. |
Opere
d’arte all’interno: Sulla base di quanto riportato dalle
cronache, prima della soppressione del 1806 e la sua demolizione del 1813, la
chiesa era così dotata:
Sette
in totale gli altari, tutti in marmo, sei collocati lungo le due navate,
presumibilmente tre a destra e tre a sinistra e l’altar maggiore al centro
del presbiterio. - altare: dedicato alla
Madonna della Salute. - altare: dedicato a Sant’Antonio
Abate. - altare: dedicato a San
Giovanni Evangelista. Della dedicazione
degli altri tre non si ha notizia.
- presbiterio: cupola: affrescata da G. Brusaferro. all’altare: pala di M. Ingoli. parete a sinistra dell’altare:Crocefissione con la
Madonna e San Giovanni dipinto
della scuola di G.
Bellini.
San Francesco e San Nicolò pala di A.
dal Friso. Gesù Bambino tra gli angeli e
i Santi Giovanni Battista e Vito e un altro Santo vescovo pala della scuola di Paolo Veronese. Altri
quadri erano posizionati ai soffitti e lungo le navate laterali di A. Zanchi.
In questa chiesa si veneravano: ·
San Vito (ossa) ·
San Modesto (ossa) ·
Beata Contessa Tagliapietra
(corpo) ·
Altri martiri (ossa)
Tra i sepolcri presenti in chiesa, una
storia singolare ed una particolare venerazione circondava quello che
conservava il corpo della Beata Contessa Tagiapiera
(Tagliapietra). Nata nobile di Ca’ Tagiapiera
nel 1288 ed il cui nome di battesimo era proprio Contessa, da subito essa si
inoltrò in una vita di preghiera, di penitenze, di estasi e di carità. Tanta era la sua fede che essendo stato
proibito dal padre ai gondolieri di traghettarla dalla Contrada San Maurizio alla Contrada San Vio, nella cui
chiesa ella soleva recarsi per pregare, al diniego dei barcaioli, la ragazza,
all’oscuro del desiderio paterno che non si allontanasse da casa, stese
sull’acqua il grembiule di lino e passò il Canalasso a piedi
asciutti. Minata dagli stenti, la giovane morì di
grave malattia ed in odore di santità il 1° novembre 1308 e fu sepolta in
chiesa all’altare di San Giovanni Evangelista che già il popolo la chiamava
beata. Le sue spoglie lì giacquero fino al 1702, quando il corpo (“incorrotto, tranne il viso”) fu
traslato presso l’altare dedicato a Sant’Antonio, dove riposò fino alla
demolizione della fabbrica e alla dispersione delle ossa.
In questa chiesa avevano il
proprio altare: ·
la Schola del
Santissimo, ·
la Schola de
Sant’Antonio Abate de l’arte dei Calçinieri ·
il Sovegno della Beata
Vergine de la Salute |
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Facciata
e portale: Luca
Carlevarjis, vedutista del XVIII secolo, nel
dipinto “La chiesa di San Vio” ci ha fatto pervenire l’immagine della facciata
su campo San Vio. Realizzata
in mattoni, aveva mantenuto l’assetto basilicale con la tripartizione in
corrispondenza delle navate, ed è raffigurata in due ordini sovrapposti,
replicando canoni coducciani che manifestano gli
interventi di restauro e rifacimento eseguiti fra il XVII e il XVIII secolo,
dopo la radicale ricostruzione operata a spese pubbliche nel 1310-1315. L’ordine
inferiore della facciata era caratterizzato dal paramento liscio interrotto
dalle lesene ed il portale centrale con ai lati due semicolonne su alto
zoccolo a sostenere l’architrave, sul quale stava impostato il timpano semicircolare. Ai lati, in
corrispondenza delle navate laterali, non erano state praticate aperture. L’ordine
superiore presentava un attico tra lesene
con due oculi
collocati in corrispondenza degli angoli superiori. I lati erano collegati da
due ali ricurve e, nel punto in cui essi si raccordavano alla parte centrale,
un cornicione sporgente tagliava in due le lesene. Sul
frontone curvilineo, al centro della parte superiore, si apriva un terzo oculo, uguale
nelle fattezze ai due in posizione inferiore. Sulla sommità del frontone ed
ai lati stavano le statue di tre santi (probabilmente i tre titolari della chiesa). |
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Interno: L’interno,
tripartito da colonne in corrispondenza delle navate, era abbellito da tre
altari lungo la navata destra, altrettanti stavano disposti su quella a
sinistra e l’altar maggiore al centro del presbiterio. In
questa chiesa fu deposto nel 1702 il corpo della beata Tagliapietra,
nobildonna veneziana, le cui miracolose vicende sono ricordate dagli
scrittori veneziani del tempo ed i cui resti andranno dispersi dopo la
soppressione della chiesa. Abitando
poco lontano, qui ebbe sepoltura il 15 aprile 1757 anche la celebre pittrice Rosalba
Carriera, i cui resti, fra la generale indifferenza, andranno
ugualmente dispersi dopo la soppressione della chiesa. |
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Campanile: Nella
pianta di Venezia di Jacopo de' Barbari del 1500, si vede che il
campanile si elevava a destra dell’abside della chiesa, quindi inglobato sul
lato dove le case si addossavano alla chiesa. Di
foggia trecentesca, dall’aspetto massiccio ma abbastanza tozzo, esso aveva la
canna in mattoni a doppie lesene, mentre sulla cella campanaria, aperta a
bifore, poggiava la cuspide piramidale, probabilmente rivestita in piombo. Fu
demolito assieme alla chiesa nel 1813. |
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Bibliografia: Flaminio Corner “Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane, e torcellane, illustrate da Flaminio Corner senator
veneziano” Nella stamperia del
seminario, Padova 1758 Giuseppe Tassini “Curiosità veneziane” Alzetta e Merlo Editori, Venezia 1886 Umberto Franzoi / Dina Di Stefano “Le chiese di Venezia” Azienda Autonoma
Soggiorno e Turismo, Venezia 1975 Giulio Lorenzetti “Venezia e il suo estuario” Edizioni Lint, Trieste 1956 Cesare Zangirolami “Storia delle chiese e dei monasteri delle scuole di Venezia rapinate
e distrutte da Napoleone Bonaparte” Arti grafiche E. Vianelli, Mestre 1962 Alvise Zorzi “Venezia scomparsa” volume secondo Electa Editrice, Milano 1977 Tudy Sammartini / Daniele
Resini “Campanili di Venezia” Edizioni Grafiche
Vianello, Treviso 2002 |
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