SESTIER DE

CASTELO

ciexa de la Fava

CONTRADA

S. LIO

 

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Cenni storici:

la famiglia cittadinesca degli Amadi, dimorante in questa Contrada, allo scopo di aumentare il culto verso la Vergine Maria, era solita esporre sui muri delle calli numerose immagini sacre, una delle quali in particolare, un’anconeta raffigurante Santa Maria de la Consolazione venne presto ritenuta dal popolo miracolosa per le prodigiose grazie da essa ottenute. A fare luce sulla questione, il severo processo formato nel 1480 da Matteo Gerardi, Patriarca di Venezia, confermò che non di fanatismo si trattava ma di vere e proprie miracolose guarigioni.

Il positivo verdetto accrebbe ulteriormente la generale devozione, tanto che Luigi Amadi e il nipote Angelo, assistiti dai nobilomeni Francesco Diedo, Francesco Zen e Marco Soranzo, rivolsero al Patriarca Gerardi la richiesta di poter innalzare una Cappella dove poter custodire degnamente la sacra immagine, con l’impegno di mantenervi due sacerdoti ma con l’esenzione di questi e della Cappella da qualunque soggezione alla vicina chiesa parrocchiale di San Lio. Con decreto del 10 novembre 1480 il Patriarca acconsentì all’erezione dell’Oratorio, nominandone perpetui Procuratori i discendenti della famiglia Amadi. Grazie alle elemosine dei devoti fu possibile acquistare dalla nobile famiglia Dolce un paio di casette e nel 1496 la Cappella era completata. Al suo interno venne decorosamente riposta sull’altare la miracolosa anconeta di Santa Maria de la Consolazione, anche se il popolo sempre usò l’appellativo di Santa Maria de la Fava, legato secondo la tradizione alla presenza di una bottega che smerciava tale legume e ad alcuni altri aneddoti più o meno fantasiosi.

Nel 1500 il de’ Barbari riporta l’edificio nella sua celebre veduta: esso appare circondato da case più elevate, situato a ridosso del ponte de la fava e volgendo la facciata verso il rio de la fava, appena arretrata per far posto ad una corta fondamenta.

Nel 1515 i Procuratori a suo tempo nominati rinunciarono all’incarico e consegnarono le chiavi nelle mani del Patriarca Antonio Contarini, al quale il Governo della Repubblica immediatamente sollecitò la designazione di nuovi Procuratori ai quali affidare l’amministrazione di “danari, robe e beni di detta Cappella”, cosa che fu eseguita il giorno 5 luglio dello stesso anno, con la designazione di tre Nobilomeni e due Cittadini originari e la possibilità di sostituirli con nuovi in caso di vacanza.

Sotto la vigilanza dei Procuratori, di molto si accrebbe il culto, tanto che il 2 luglio 1572 fu concesso dal Patriarca che nel tabernacolo dell’Oratorio fosse conservata l’Eucarestia; infine da Giulio Superchio, vescovo di Caorle, Il 12 maggio 1573 la Cappella venne solennemente consacrata a Santa Maria de la Consolazione, sotto il titolo della sua Visitazione a Santa Elisabetta.

Tanto grande era divenuto l’eco della devozione popolare, che nel 1621 papa Gregorio XV ne dichiarò privilegiato l’altare e nel 1622 concesse indulgenza plenaria a chi nel giorno del mistero titolare (la Visitazione di Maria Vergine), visitasse la Cappella.

Venne il tempo in cui Ermanno Stroissi, sacerdote della Cappella, assieme ad altri due preti, Agostino Nani e Giovanbattista Bedetti, iniziò a progettare di introdurre anche a Venezia un Oratorio dei frati filippini, così chiamati dal nome del fondatore dell’Ordine, San Filippo Neri. Il 10 giugno 1662 i tre inoltrarono la richiesta al Senato che il 22 novembre dello stesso anno acconsentì, cedendo la Cappella alle cure dell’Ordine. Poco dopo fece seguito anche il permesso di Giovanni Francesco Morosini, Patriarca di Venezia, e la concessione venne poi confermata nel 1674 da papa Clemente X, che dichiarò la Congregazione soggetta al Patriarca di Venezia.

Stroissi diventava così l’ultimo sacerdote secolare eletto dai Procuratori per officiare la Cappella e gli ultimi Procuratori furono Marino Grimani e Giovanni battista Corner, senatori illustri ma, soprattutto, devotissimi al culto di San Filippo.

I frati filippini trovarono dimora poco distante, in una casetta che però era così angusta da doverli spingere ad esercitare i compiti del loro istituto dentro la Cappella, con grave incomodo loro e dei numerosi popolani che accorrevano.

Proprio per poter procedere ad un “restauro et ampliatione” della loro casetta e la realizzazione di una nuova chiesa più grande e spaziosa, il 3 marzo 1701 i frati filippini sottoposero al Dose Alvise II Mocenigo l’autorizzazione per intraprendere i lavori, che iniziarono il 5 agosto 1705, con la posa solenne della prima pietra benedetta da Giovanni Badoer, Patriarca di Venezia.

I frati avevano dovuto combattere non poco per imporre all’architetto Antonio Gaspari, da loro stessi prescelto, l’adozione di un progetto che si avvicinasse alla tradizione veneziana, mentre quegli invece insisteva per un impianto detto allora “alla romana” (cioè con unica navata a pianta ovale e alta cupola), soluzione architettonica che però in una Venezia “palladiana” non era particolarmente apprezzata.

Gaspari attese alla costruzione dal 1705 fino al 1715, anno in cui per sopravvenute difficoltà finanziarie dei frati filippini venne a cessare ogni attività. I lavori ripresero, seppure con estenuante lentezza, nel 1718 ma questa volta sotto la direzione dell’altrettanto celebre architetto Giorgio Massari, il quale riuscì a portare a termine l’edificio con la realizzazione dell’abside e della sua cupola, dell’altar maggiore e la copertura del tetto della navata.

Nel 1736, mentre i lavori procedevano e già nella nuova chiesa si officiava la messa, l’antica Cappella di Santa Maria de la Fava venne completamente demolita e allo scopo di preservarne il ricordo, se ne segnò sul selciato il perimetro con delle liste di marmo bianco ancora oggi visibili. L’area su cui insisteva, divenuta sgombra, assunse il nome di campo de la fava.

Nel 1750 la chiesa era oramai giunta a compimento e venne alfine consacrata il 1 aprile 1753. La costruzione del nuovo edificio aveva anche offerto l’occasione per rimaneggiare il primitivo Oratorio dei frati filippini, ora collocato dietro l’abside della chiesa. Esso venne infatti rimodernato ed ampliato e quindi destinato, come è tradizione di quest’ordine, alla formazione cristiana dei giovani.

Caduta la Repubblica nel 1797, per effetto degli editti napoleonici l’Ordine dei frati filippini venne dapprima soppresso ma poi nuovamente ristabilito nel 1821.

Quando nel 1912 i frati filippini lasciarono Venezia, la chiesa e l’oratorio furono affidati ai padri Redentoristi, che ancora oggi vi risiedono e, secondo la Regola che vuole il loro intervento a favore dei migranti, si sono concentrati nell’aiuto alla comunità filippina residente a Venezia.

 

 

CONTROFACCIATA

grande lapide dedicatoria dell’intitolazione della chiesa.

INIZIO DELLA NAVATA

a destra: statua in pietra di Angelo a guisa di acquasantiera, a sinistra: statua in pietra di Angelo a guisa di acquasantiera.

LATO DESTRO

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, Dottore della Chiesa, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

Primo Altare

all'altare: pala Sant’Anna, la Vergine Bambina e San Gioacchino (L’educazione della Vergine) (1732) capolavoro di G. B. Tiepolo.

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, San Giovanni Evangelista, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

Secondo Altare

dedicato a Santa Maria de la Fava vi si trova infatti esposta l’antica anconeta che da titolo alla chiesa.

sulla mensa, entro cornice marmorea: olio su legno Santa Maria della Consolazione (XV secolo) di Autore ignoto.

all’altare: pala La Visitazione (1743) di J. Amigoni.

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, San Marco Evangelista, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

Terzo Altare

all’altare: pala Madonna con Bambino e il Beato Gregorio Barbarigo (1761) di G. B. Cignaroli.

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, Dottore della Chiesa, opera di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

PRESBITERIO

altar maggiore: in stile barocco, paliotto in rame dorato ed argento, raffigurante scene e immagini bibliche dell’Eucarestia (1738). La mensa è sormontata dal tabernacolo decorato con marmi fini e le due statue in pietra di Angeli poste ai lati, di G. M. Morlaiter.

sulla parete di fondo, sopra la cantoria: organo a canne inserito in una solenne cassa lignea con dorature, di Pietro Nacchini (1754).

corridoio dietro la cappella: dipinto Adorazione dei pastori (secolo XVI) di B. Caliari; su un altare: dipinto San Filippo Neri di Autore ignoto.

LATO SINISTRO

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, Dottore della Chiesa, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

Terzo Altare

all’altare: pala Cristo crocifisso tra la Vergine, San Giovanni e Maria Maddalena (1731) di G. Lazzarini.

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, San Matteo Evangelista, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

Secondo Altare

all’altare: pala Apparizione della Vergine a San Filippo Neri (1731) di G. B. Piazzetta.

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, San Luca Evangelista, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

Primo Altare

all’altare: pala Madonna col Bambino e San Francesco di Sales (1743) di G. Amigoni.

Intercolumno

nicchia: statua in pietra, Dottore della Chiesa, di G. Bernardi detto il Torretto.

al di sopra: bassorilievo in pietra, Episodio della vita di San Filippo Neri, attribuito a G. Bernardi detto il Torretto.

SAGRESTIA

sul grande armadio in noce: bassorilievo Estasi di San Filippo Neri (secolo XVIII).

sopra i bancali in noce, da destra: statue lignee di Santi veneziani Beato Giovanni Marinoni († 1562), Beato Pietro Acotanto († 1187), San Pietro Orseolo († 988), Beato Giacomo Salomoni († 1314), San Girolamo Emiliani († 1537), San Gregorio Barbarigo (†+1697), San Lorenzo Giustiniani († 1456), San Gerardo Sagredo († 1046) (secolo XVIII).

parete sinistra: Madonna e San Francesco di Sales di J. Amigoni; segue: Madonna in gloria con San Filippo Neri e fanciulli opera di G. B. Cignaroli; segue: dipinto su legno di cipresso Madonna di G. Lazzarini; a sinistra:  Educazione della Vergine (secolo XVIII) di Autore ignoto; segue:  Madonna su legno di cipresso opera di F. Solimena che per  volontà del Dose Paolo Renier fu collocata nell’oratorio che venne ricavato nel convento di San Zanipolo a disposizione di papa Pio VI quando questi, nel 1782, si fermò a Venezia per cinque giorni nel suo viaggio di ritorno da Vienna. 

uscendo dalla sagrestia, sulla porta: tavola La Vergine con il bambino, San Girolamo e Santa Caterina (secolo XVI) di Rizzo da Santacroce (scuola belliniana); segue, a destra: dipinto Estasi di Santa Teresa attribuito a A. Balestra; segue: tavola Madre del Perpetuo Soccorso (secolo XV) copia dell’anconeta venerata a Roma nella chiesa di Sant’Alfonso, immagine particolarmente cara ai frati filippini, attribuita ad A. Rizzo.

ALL’NTERNO DEL CONVENTO

alcuni dipinti Miracoli di San Filippo Neri (secolo XVII) di E. Stroifi.

TOMBE ILLUSTRI

È tradizione che Giovan battista piazzetta sia sepolto in questa chiesa, ma non in una tomba propria, essendo morto in povertà, bensì in quella dell’amico G.B. Albrizzi, appartenente ad una delle più rinomate famiglie di stampadori e librai veneziani del ‘700. Il sepolcro della famiglia Albrizzi si trova nella navata destra, tra il secondo e il terzo altare.

SANTE RELIQUIE

le seguenti reliquie furono portate a Venezia da Candia dopo la perdita della piazzaforte cretese. Vennero donate dal Dose Francesco Morosini (già Capitan General da Mar) a Matrona Regina Giustinian Morosini sua cognata e da questa nel 1690 donate alla chiesa. Nel 1693 la spina fu donata direttamente dal Doge Morosini.

·         Santissima Croce (due frammenti)

·         Corona del Redentore (spina)

·         Vergine Madre di Dio (capelli)

·         San Mamante martire (piede)

Altre reliquie:

·         Otto Santi martiri (corpi)

·         San Filippo Neri (reliquia)

·         San Francesco di Sales (reliquia)

·         Sant’Anna (reliquia)

·         San Bartolomeo (reliquia)

·         San Lorenzo (reliquia)

·         San Pio V (reliquia)

·         San Carlo (reliquia)

·         San Cristoforo (reliquia)

·         San Lazzaro (reliquia)

·         Santa Marta (reliquia)

·         Santa Maria Maddalena (reliquia)

 

La facciata e il portale:

la Cappella dedicata a Santa Maria de la Fava viene riportata dal de’ Barbari nella sua pianta del 1500 in tutta la sua semplicità. La facciata appare di gusto rinascimentale, abbellito sulla fronte da un alto coronamento semicircolare, dietro il quale si celano le due falde del tetto a capanna.

Per quanto riguarda la nuova chiesa, i disegni preparatori di Antonio Gaspari prevedevano la realizzazione di una facciata  suddivisa in due ordini, il secondo dei quali si concludeva in alto con un frontone triangolare. Due piccoli campanili posti lateralmente avrebbero completato armoniosamente la composizione architettonica.

Invece, a causa delle difficoltà finanziarie dei frati filippini, la facciata rimase incompiuta, con l’eccezione del portale sormontato da un timpano marmoreo curvilineo in stile barocco (i cui elementi andavano inseriti per necessità tecniche legate alla struttura muraria portante) e, ai lati, di due grandi nicchie semicircolari.

Da ciò che oggi è visibile, si ricava l’intenzione progettuale del Gaspari di dare slancio e verticalità all’edificio, posto che l’ingresso al campo de la fava avviene dall’arcuato ponte omonimo che quindi eleva di molto il punto di vista rispetto alla linea di campagna.

In questo caso, il ricercato verticalismo sarebbe stato maggiormente accentuato se i frati avessero concesso all’architetto di realizzare anche i due campanili laterali, nonché di voltare l’alta cupola sopra la navata.

 

L'interno:

ad unica navata, è a pianta rettangolare. Gli angoli smussati costituiscono l’unico elemento architettonico che è sopravvissuto del primitivo progetto a pianta ovale elaborato da Antonio Gaspari.

Lungo i fianchi si sviluppa la serie delle tre cappelle intercomunicanti, alternate a setti murari pieni, sui quali si appoggiano le coppie di pilastri corinzi che sostengono la massiccia trabeazione, racchiusa entro una doppia linea di cornicioni aggettanti, di cui quello inferiore prosegue anche nel perimetro della cappella maggiore.

Di rilievo le otto statue di Evangelisti e Dottori della Chiesa di Giuseppe Bernardi, maestro di Antonio Canova, collocate lungo la navata.

La sistemazione dell’interno, che sotto la direzione del Gaspari in alcune parti si era fermata alle sue linee strutturali principali ed in altre invece si era bruscamente interrotta, si protrasse ancora per alcuni decenni dopo la conclusione della copertura.

Non poche furono infatti le difficoltà che dovette affrontare il Massari, poiché tutta la struttura muraria, ormai impostata per ricevere la cupola, dovette invece essere modificata per concludersi con un soffitto a volta. A questa variazione in corso d’opera si deve anche l’innesto dell’abside a pianta quadrangolare, nella quale si espande il serrato ritmo della navata, che è illuminata dalla sovrastante cupola, priva di tamburo, la cui lanterna fuoriesce dal tetto ricoperto di lastre di piombo.

Gli altari furono eretti nel corso del 1725, con disegno attribuito a Domenico Rossi.

Dopo il 1736, su disegno del Massari, fu costruito l’altar maggiore e vennero realizzati i mobili della sagrestia, quindi, poco per volta, vennero scolpite le grandi statue dei quattro Dottori della Chiesa e dei quattro Evangelisti.

 

I campanili:

I disegni preparatori di Antonio Gaspari per la nuova chiesa prevedevano che la facciata fosse completata con la realizzazione di due piccoli ma svettanti campanili laterali, che avrebbero armoniosamente concluso la composizione architettonica.

La facciata purtroppo rimase incompiuta, e la chiesa pertanto rimase priva del campaniel.

Sole rimangono, agli angoli del lato della navata opposto alla facciata, le canne di due campaniletti, anch’esse rimaste incompiute e chiuse da una semplice tettoia, collocate in una posizione antitetica rispetto a quella voluta dal Gaspari ma sicuramente nel solco della tradizione cittadina.

 

 

“Il miracolo della Fava”.

Alcuni dicono che il ponte della fava abbia questo nome perché un uomo, colà domiciliato, avendo nascosto sale di contrabbando dentro a dei sacchi dove sopra aveva buttato alcune manciate di fave, messo al corrente che i Provedadori al sal ne erano stati informati e che i birri stavano venendo, amaramente pentito e disperato si buttò in ginocchio davanti alla sacra immagine, ottenendo il  miracolo che, poco dopo, in casa sua i birri non trovassero altro che fave.

“Le fave dei morti”.

Altri invece vogliono che poiché il giorno dei morti (2 novembre) in memoria di un’antica usanza che voleva che attraverso i petali del fiore della fava i morti comunicassero con i vivi, grandi quantità di fave venivano regalate dai conventi ai poveri e anche ai gondolieri (per il loro servizio di traghettare gratuitamente i religiosi), essendo però il legume non particolarmente gradito al palato dei nobilomeni, con il tempo se ne mutò la natura, convertendolo negli attuali piccoli e golosi dolcetti di zucchero.

Ancora oggi, in omaggio alla tradizione, sacchettini di fave vengono posti sotto il cuscino dei bimbi mentre dormono, a significare che i trapassati continuano a vegliare su di loro dall’aldilà.

“Maria e Gregorio”.

Fra San Lio e San Bortolomio c'é la chiesa dedicata a Santa Maria della Consolazione o, come dicono i veneziani, della Fava, a causa della presenza di un commerciante che vendeva appunto fave.

La storia di Maria e Gregorio inizia prima ancora che la grande chiesa fosse costruita, quando c’era solo un piccolo oratorio che si affacciava sulla riva, mentre dove oggi c’è la chiesa vi era il cimitero della Contrada.

Maria, figlia di un ricco commerciante, e Gregorio, pittore di immagine sacre, erano amanti segreti da quasi tre anni. Il padre di Maria però già l’aveva promessa ad un ricco giovanotto, con il quale ella a malincuore fu costretta a maritarsi. Ma dopo soli tre anni, una breve malattia portò Maria alla morte e venne sepolta nel cimitero dietro l’oratorio. Era inverno, e a Venezia cadeva la neve quando una notte, dal cimitero si levò una figura: era Maria. Apparve al marito, che la scacciò  chiamandola demonio, si recò allora dal suo amato Gregorio il quale stava dipingendo un'immagine della Madonna da donare alla chiesa: "Non aver paura, non ti farò del male" le disse Maria e lui la abbracciò. Nei giorni seguenti Gregorio curò e vestì la sua amata, finché il giorno di Natale insieme apparvero in chiesa tra lo stupore di tutti. Alcuni dei presenti, riconoscendo Maria, gridarono al miracolo, come miracolosa fu considerata  l'immagine della Madonna che Gregorio regalò alla chiesa che fu perciò intitolata a Santa Maria della Consolazione,  per il sentimento che aveva provato Gregorio nell’aver ritrovato il suo primo e vero amore.

Subito i parrocchiani al posto del piccolo oratorio vollero erigere una nuova chiesa, intitolata alla Madonna della Consolazione, per custodirvi l'immagine della Madonna dipinta da Gregorio e rappresentare sulla facciata della chiesa le statue dei due innamorati.

“Curiosità”.

Osservando il portale d’ingresso della chiesa, si noterà in alto una conchiglia in marmo appartenente, si dice, al vecchio oratorio. La leggenda vuole che il celebre pittore Botticelli passasse il ponte della fava mentre dalla chiesa usciva una donna bellissima. Rimasto affascinato, volle immortalare nel suo celebre dipinto proprio sopra una conchiglia uguale a quella che stava sopra la donna che lo aveva così colpito.

Bibliografia:

 

Francesco Sansovino

Venetia città nobilissima et singolare

Iacomo Sansovino, Venezia 1581

 

Flaminio Corner

Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane e torcellane

Stamperia del Seminario, Padova 1758

 

Giambattista Albrizzi

Forestier illuminato. Intorno le cose più rare e curiose, antiche e moderne, della città di Venezia e dell’isole circonvicine.

Giambattista Albrizzi, Venezia 1765

 

Giulio Lorenzetti

Venezia e il suo estuario

Edizioni Lint, Trieste 1956

 

Umberto Franzoi / Dina Di Stefano

Le chiese di Venezia

Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo, Venezia 1975

 

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